La Stampa, 6 dicembre 2017
A Kiev blitz contro Saakashvili. La folla assalta la polizia e lo libera
Da capo di Stato in Georgia a latitante in Ucraina. Dopo la rottura dell’alleanza col presidente Petro Poroshenko, Mikheil Saakashvili rischia di concludere la sua avventura a Kiev nel peggiore dei modi. Al momento è riuscito a evitare di finire dietro le sbarre perché i suoi sostenitori lo hanno letteralmente strappato dalle mani della polizia, ma l’accusa che gli rivolgono le autorità ucraine è delle più pesanti: essere complice di un tentativo di golpe orchestrato col sostegno del Cremlino. Un reato per il quale rischia 5 anni. Sulla sua testa pende inoltre un’altra minaccia: quella dell’estradizione in Georgia, dove è sospettato di abuso di potere e appropriazione indebita.
Ieri mattina gli uomini dei servizi segreti di Kiev hanno fatto irruzione nell’appartamento di Saakashvili. L’ex presidente georgiano ha reagito salendo sul tetto della palazzina e minacciando di buttarsi di sotto. Un video lo mostra visibilmente scosso. Ogni tanto beve un sorso d’acqua da una bottiglietta. Alla fine gli agenti entrano in azione: lo arrestano e lo fanno salire su una camionetta. Centinaia di persone bloccano però la strada alla polizia e dopo un’ora di scontri riescono a liberare il loro beniamino.
Così, in serata, colui che nel 2003 guidò la pacifica Rivoluzione delle Rose a Tbilisi arringa la folla davanti al parlamento ucraino e – con le manette ancora al polso destro – chiede le dimissioni del suo «nemico numero uno», Poroshenko.
Nello stesso momento il procuratore generale Yuri Lutsenko presenta in Parlamento le presunte prove contro di lui. Lo accusa di aver incassato 500.000 dollari dall’oligarca Sergey Kurchenko, considerato vicino al deposto presidente ucraino Viktor Yanukovich e come lui fuggito in Russia dopo la rivolta di Maidan. L’obiettivo – stando agli investigatori – sarebbe stato quello di finanziare le proteste di questi giorni contro Poroshenko e «ribaltare l’ordine costituzionale». Ovviamente d’accordo col Cremlino. Per il diretto interessato si tratta però solo di fandonie, e anche per l’ex “eroina” della Rivoluzione arancione Yulia Timoshenko, che ha bollato la vicenda come un atto di «terrorismo politico». E pensare che l’accusatore principale è proprio un ex fedelissimo di Timoshenko come Yuri Lutsenko, l’ex ministro dell’Interno salito sul carro di Poroshenko e diventato procuratore generale: l’ennesimo segno che la fazione filo-occidentale salita al potere dopo Maidan è sempre più divisa.
Anche Saakashvili stesso è un personaggio che divide: i suoi sostenitori lo considerano il paladino della lotta alla corruzione, ma per i suoi detrattori è solo un populista.
Fu proprio Poroshenko a concedere la cittadinanza ucraina a Saakashvili nel 2015 per nominarlo governatore di Odessa. Ma un anno e mezzo dopo lui lasciò l’incarico in polemica con Poroshenko e fondò il suo Movimento delle Forze Nuove. Finito l’idillio tra i due, per l’ex presidente georgiano sono iniziati i problemi. A luglio Poroshenko lo ha privato della cittadinanza ucraina mentre si trovava all’estero facendolo diventare un apolide e intimandogli di non mettere più piede in Ucraina. Saakashvili però in Ucraina è tornato: a settembre, con una rocambolesca irruzione a piedi dalla Polonia guidata da centinaia di suoi sostenitori che gli hanno aperto a spintoni un varco tra le guardie di frontiera. Adesso però su di lui incombe l’ira di Poroshenko.