La Stampa, 6 dicembre 2017
L’arte del silenzio. Al MoMA il seminario di Paola Antonelli su come tacere migliora le nostre vite e l’arte
La democrazia ha ancora qualche speranza di sopravvivere, in un mondo dove sette miliardi di voci possono parlare tutte insieme, annullandosi a vicenda e non raccontando necessariamente la verità?
Una colpa che di sicuro non si può rimproverare al Museum of Modern Art di New York è mancare di ambizione. Questa infatti è una delle tante domande esistenziali emerse lunedì sera durante il MoMA R&D Salon 21, intitolato «Silence». L’appuntamento organizzato da Paola Antonelli, Senior Curator del dipartimento di Architecture & Design e direttrice del settore Research & Development del museo, era dedicato al silenzio: la sua assenza, il suo pregio, l’impatto sull’arte, la cultura, la società, la politica. A discuterne Stuart Comer, Chief Curator of Media and Performance Art al MoMA, l’artista Wendy Jacob, la creatrice della Free Black Women’s Library OlaRonke Akinmowo, la ballerina e attrice sorda Alexandria Wailes. Con tanto di letture suggerite per prepararsi all’evento, o riflettere dopo, in un museo che per esempio aveva già trattato il tema nella mostra «There Will Never Be Silence», con lo spartito della composizione di John Cage 4’33”, che prevede appunto quattro minuti e trentatrè secondi di performance senza emettere suoni intenzionali.
Paola Antonelli ha preso in prestito la saggezza di suo padre, otorino, per chiarire dal principio che «il silenzio non esiste». Anche se uno non soffre di acufene, il maledetto fischio perenne nell’orecchio, il cervello ronza in continuazione. Al massimo si può sperare nel silenzio della voce, propria o altrui, o in quello della natura, che però in realtà produce rumore anche nel buio dello spazio. Alexandria Wailes ha sottolineato che per una come lei l’assenza di suoni dovrebbe essere una condanna, non un lusso: «Eppure anche solo usando il linguaggio dei gesti per comunicare faccio un sacco di casino».
Dunque sì, nella nostra società il silenzio è un bene tanto prezioso, quanto irraggiungibile, anche se qualche artista ha provato a metterlo in scatola e rivenderlo. La stessa Antonelli ha ammesso di usare le applicazioni che producono «white noise», per isolarsi con un po’ di sano rumore dai vicini vocianti che la distraggono per strada. Epperò il dilemma del silenzio, la sua esistenza e il suo valore si è assai complicato, negli ultimi anni. A causa della tecnologia, che ha alzato incredibilmente il volume della conversazione, dando potenzialmente una voce a chiunque possieda un telefonino. Ma in una stanza dove tutti urlano, alla fine si capisce davvero qualcosa? E la democrazia può sopravvivere, se le parole si annullano a vicenda, senza neppure preoccuparsi di raccontare la verità? Stuart Comer qui ha voluto ricordare la virtù del silenzio, richiamandosi alle recenti denunce di molestie sessuali contro le donne: meglio che in questo caso gli uomini tacciano, invece anche di esprimere solidarietà, per lasciare che il messaggio forte delle vittime prevalga incontrastato sul rumore di fondo. «Oggi – ha notato Comer – la velocità dei social sembra imporre ad ognuno l’obbligo della risposta immediata, ma a volte è ancora meglio tacere». Se non altro perché nella bocca chiusa, come diceva Cervantes, non entrano le mosche. Il dilemma però resta, come ha notato Akinmowo, perché non parlare lascia comunque il campo agli altri, e segnala la paura delle proprie convinzioni. «Sono sempre molto nervosa – ha commentato alla fine Antonelli – prima di questi salons. Quindi quello che mi stupisce sempre è il fatto che riesca a sopravviverli». Naturalmente sfidando il potere del silenzio, che oggi possiamo insieme anelare, e temere.