La Stampa, 6 dicembre 2017
Il trionfo di Tp53: la sentinella del Dna guida la top ten dei geni più studiati
Lo sforzo è da «nerd»: che senso ha – si potrebbe chiedere un profano – spulciare gli archivi scientifici con l’obiettivo di individuare i geni più popolari all’occhio degli scienziati?
Oltre che ricco di fascino, il lavoro compiuto da Peter Kerpedjiev, ricercatore in informatica biomedica all’Università di Harvard, è, in realtà, la cartina al tornasole dei percorsi seguiti dalla ricerca in 20 anni. La «top ten» del genoma umano, prendendo in prestito la definizione con cui «Nature» ha descritto il lavoro compiuto dallo scienziato, restituisce una foto del passato, del presente e del futuro di ciò che si indaga nei maggiori laboratori del mondo: dagli studi sui linfociti, durante il boom dell’attenzione sull’Aids, a quelli sui geni che sopprimono o innescano un tumore, fino all’attuale picco di studi dedicati alle malattie croniche.
Cancro, sindromi autoimmuni (artrite reumatoide, psoriasi, spondilite anchilosante, rettocolite ulcerosa, morbo di Crohn) e malattie neurodegenerative (in primo luogo l’Alzheimer): scorrendo la speciale classifica, si nota subito come oggi l’interesse sia mirato su queste emergenze sanitarie, unite dal comune denominatore dell’infiammazione. E alla base – com’è inevitabile – c’è l’analisi genetica, che promette di aprire la nuova era della medicina di precisione, con terapie su misura per ogni paziente.
La lista redatta da Kerpedjiev vede in cima il gene Tp53, che codifica per la proteina quasi omonima, la p53. Il totale delle citazioni supera quota 8500, mentre tre anni fa la cifra era a 6600. La sua attività è nota a tutti gli oncologi e ai biologi che si occupano di oncologia molecolare: si tratta di un «guardiano» del Genoma che impedisce la proliferazione cellulare in senso neoplastico. Non stupisce, dunque, l’attenzione ossessiva nei suoi confronti, a maggior ragione se chi si occupa di ricerca di base nel frattempo è riuscito a dimostrare che il gene risulta mutato in circa la metà di tutti i tumori.
«In campo oncologico, probabilmente, non c’è un gene più importante – afferma Maurizio Genuardi, direttore dell’Istituto di medicina genomica dell’Università Cattolica di Roma e presidente della Società Italiana di Genetica Umana -. La sua utilità clinica è però ancora ridotta: oggi sappiamo individuare le forme tumorali in cui il gene risulta mutato, ma la scoperta non ci aiuta ancora a determinare la prognosi e nemmeno a mettere a punto una terapia mirata».
In coda alla classifica, invece, si colloca il gene Akt1 (codifica per una proteina che induce la morte cellulare). In mezzo, tra gli altri geni più studiati, il Tnf (fattore di necrosi tumorale: è già un target di diversi farmaci usati contro i tumori e le malattie d’origine infiammatoria), l’Egfr (il gene mutato è tra le cause del tumore del polmone e risulta bloccato da diversi farmaci: anticorpi monoclonali e inibitori delle tirosin chinasi), il Vegf (promuove la crescita di nuovi vasi sanguigni, anch’esso bersaglio di terapie oncologiche) e l’ApoE (il gene mutato è associato all’Alzheimer: potrebbe aiutare a riconoscere le persone a rischio).
A seguire: IL6 (citochina coinvolta nei processi infiammatori), TgfB1 (fattore di crescita che controlla la proliferazione e la differenziazione cellulare), Mthfr (converte i folati acquisiti con la dieta in molecole biologicamente attive) ed Esr1 (codifica per recettori degli estrogeni: coinvolti nell’insorgenza dei tumori al seno, all’ovaio e all’endometrio).
Della «top ten» non fanno più parte, invece, alcuni dei geni maggiormente indagati nel recente passato: si tratta, per esempio, di quelli codificanti per l’emoglobina e i linfociti Tcd4, coinvolti nel meccanismo con cui l’Hiv penetra nelle nostre cellule. «Ma il valore degli studi che li hanno visti protagonisti lo osserviamo ancora oggi in laboratorio – prosegue Genuardi -. Gli studi sull’emoglobina, infatti, ci hanno dato le prime e importanti informazioni sui meccanismi molecolari delle malattie, a partire dalla talassemia».
È la prova, questa, che la ricerca in ambito genetico è sempre in fieri. «Oggi sappiamo come sono fatti i geni, ma non come funzionano: sui meccanismi di attivazione e regolazione abbiamo ancora molto da scoprire». A partire da Tp53, che almeno per i prossimi 10 anni – si prevede – è destinato a rimanere in vetta alla classifica.