la Repubblica, 6 dicembre 2017
«Lui e Netanyahu combinano soltanto guai. La destra è uno tsunami». Intervista ad Abraham Yehoshua
ROMA «Trump così combina solo guai».
Abraham Yehoshua risponde da Tel Aviv con la voce consunta di chi negli anni e nelle opere ha scolpito con passione la necessità del dialogo tra ebrei e palestinesi per colmarne le crepe sempre più profonde. Non a caso, a 80 anni il grande scrittore israeliano si è convertito alla soluzione di un solo stato per israeliani e palestinesi: «Ora è impossibile sradicare i coloni israeliani, cambiamo se non vogliamo diventare una società di apartheid». Un castello di parole e speranze che vacilla di fronte all’imminente tempesta del riconoscimento americano di Gerusalemme capitale e sede dell’ambasciata in Israele.
Yehoshua, che conseguenze avrà Gerusalemme capitale riconosciuta dagli Usa?
«Il presidente Trump non sa di cosa parla. Gerusalemme è già la nostra capitale e non abbiamo bisogno di lui per saperlo. Così facendo, combina solo guai.
Sarebbe l’ennesimo ostacolo alla pace tra israeliani e palestinesi.
Una pace che dovranno raggiungere i due popoli, senza influenze esterne deleterie».
Trump dice di avere anche uno – sinora sconosciuto – piano di pace per il Medio Oriente.
«Vedremo. Durante la presidenza Obama, John Kerry è stato qui decine di volte come Segretario di Stato e non ha cavato un ragno dal buco. Difficile fare peggio».
Crede che così Trump infiammerà nuove proteste e violenze in Medio Oriente?
«Non credo sarà così decisivo, perché i palestinesi sono già molto arrabbiati. Eppure qualche speranza di accordo c’era: dopo il recente riavvicinamento tra Hamas e Anp, il presidente palestinese Abu Mazen avrebbe potuto moderare gli estremismi di Gaza e intraprendere un vero percorso di pace».
E Israele che cosa dovrebbe fare, nell’idea di un unico Stato binazionale?
«Fermare l’avanzata delle colonie in Cisgiordania, offrire ai palestinesi la cittadinanza, più territorio e allo stesso tempo maggiore autonomia. Purtroppo però oggi abbiamo un governo di destra e il premier Netanyahu non ha un approccio positivo verso i palestinesi che si comportano bene in Cisgiordania».
Netanyahu, tra l’altro, è in grande sintonia con Trump.
«Prego soltanto che dalle prossime elezioni in Israele possa uscire un esecutivo più ragionevole. La destra è oramai tornata ovunque, non solo nel mio Paese. È uno tsunami».
Intanto Israele sembra avvicinarsi a un altro conflitto: il fronte sciita di Iran, Hezbollah in Libano e Assad in Siria, tutti sostenuti dalla Russia, è sempre più minaccioso. Un fronte che più volte ha auspicato la distruzione di Israele. E così Netanyahu flirta con l’ex nemico Arabia Saudita.
«È chiaro che l’Arabia Saudita ha molti problemi con l’Iran e noi lo stesso. Allo stesso tempo Teheran ha aumentato notevolmente la sua presenza nella vicina Siria e questo è un problema per Israele.
Ma di una cosa sono sicuro: Israele non farà mai una guerra per Riad».
Però Israele si sente sempre più minacciata da Teheran.
«L’Iran è un nemico estremista e assolutamente metafisico tra l’altro, perché Israele non ha mai rubato materialmente un centimetro di territorio a Teheran. Anche Hezbollah vuole attaccarci ma sarebbe controproducente per tutto il Libano, per il suo popolo e l’economia. Non c’è alcuna ragione sensata per una guerra ma purtroppo gli sciiti sbandierano questa minaccia perché per loro Israele è un capro espiatorio e lo sfruttano per cementare il consenso interno. La minaccia è reale e si sente nel mio Paese. Ma credo che alla fine non andremo in guerra. La Russia, sempre più influente nell’area ma stanca del conflitto in Siria, non vuole altri disastri in Medio Oriente. Non permetterà ai suoi alleati iraniani e libanesi di attaccarci. O almeno, questa è la mia speranza».