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 2017  dicembre 05 Martedì calendario

Il bene della vita

Il punto decisivo (e controverso) è che per il nostro ordinamento la vita non è un bene disponibile: è della collettività, dunque il suicidio non è ammesso. La codificata dignità umana ci consente di rifiutare le cure ma non di rifiutare una vita di irrimediabile sofferenza. Su questo ruota il processo a Marco Cappato, il leader radicale che condusse Dj Fabo alla fine in Svizzera. La pm voleva l’archiviazione ma il gup ha disposto il giudizio nel sospetto che Cappato abbia agevolato un atto violento su un bene, appunto, non disponibile. Ieri in tribunale ha testimoniato l’infermiere di Dj Fabo. «Mi ha chiesto più volte di aiutarlo a farla finita. Piangeva e diceva: non ce la faccio più dal dolore». Ha testimoniato la fidanzata di Dj Fabo. «Era tetraplegico, era cieco. Voleva morire e io temporeggiavo, ma se gli avessi detto non ti aiuto avrebbe significato che non l’amavo». Ha testimoniato la mamma. «Mi diceva voglio morire, mamma, devi accettarlo. A volte gridava dal dolore, gli sembrava di avere il diavolo in corpo. Ho barato tante volte, poi ho ceduto. Sono andata in Svizzera con lui e Cappato. Due minuti prima che premesse il pulsante con la bocca, gli ho detto vai Fabiano, la mamma vuole che tu vada». Poi la signora è scoppiata a piangere. La pm le ha porto dei fazzoletti di carta. La signora ha detto: «Lo sapevo che avrei pianto, fin qui ero stata forte». La pm ha detto: «Mi dispiace. Lo è stata fin troppo».
Ma, precisamente, questo processo a chi deve rendere giustizia?