Il Messaggero, 5 dicembre 2017
Nuova musica per Stromae ma l’ha scritta una macchina
Si dice che la tecnologia ci offra sempre ottimi strumenti per regredire e questo potrebbe essere il caso. La piattaforma di streaming Spotify ha lanciato i primi due brani composti da artisti con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, e uno porta la firma di Stromae, il maestro del pop elettronico che si è ritirato a tempo indeterminato dopo aver venduto milioni di dischi e girato con un tour mondiale che lo ha esaurito. L’intelligenza artificiale ha permesso all’artista belga e alla cantante canadese Kiesza di generare melodie e armonie che, a loro gusto, potevano utilizzare o abbandonare, e il risultato è Hello Shadow, singolo con tanto di video e preludio al disco Hello World, che arruolerà altri musicisti in carne e ossa, curiosi di affidarsi agli algoritmi per creare un intero album mainstream da mettere in commercio e mandare in classifica. L’altro brano è In the House of Poetry, titolo beffardo per chi in un simile procedimento non trova alcunché di poetico. Già annunciano che in caso di successo, l’album uscirà in formato vinile, a rassicurare che il futuro ha ancora bisogno del passato, soprattutto ora che i supporti vintage vendono bene.
Il progetto dell’etichetta Flow Records è frutto di ricerche condotte da François Pachet, capo del laboratorio scientifico della Sony a Parigi, il quale giura di non voler relegare gli artisti al ruolo di spettatori. Al contrario, vuole fornire nuovi stimoli e strumenti, un po’ come successe negli anni ’80 con i sintetizzatori, e usare la tecnologia per capire la nozione di stile nelle opere. Il primo esperimento (senza grandi nomi) l’anno scorso fu Daddy’s car, brano che si ispirava ai Beatles: il compositore doveva solo scegliere uno stile (in questo caso alla Fab Four) e l’intelligenza artificiale si occupava del resto, ovvero analizzava tutte le canzoni del gruppo, intercettava i tratti comuni e imparava a sfornarne di simili.
Insomma da ora in poi ogni volta che vedremo tra i crediti di un brano il nome Skygge, che in danese significa ombra e nasconde la digito-pressione sui tasti di Pachet e Benoit Carré (compositore che ha già scritto per star francesi come Françoise Hardy e Imany), vuol dire che è stato scritto con i dati, che le note musicali non sono che neuroni di una macchina, e che l’album è in realtà un progetto scientifico.
LIBERTÀ DI SCELTANon è rassicurante (l’ombra era il padrone in una fiaba di Hans Christian Andersen) ma i produttori commentano che il criterio con cui molti dischi pop oggi sono ideati non è poi così spontaneo e lontano dal calcolo. Tra l’altro l’intelligenza artificiale non può prescindere da quella umana. Dall’esperienza gli artisti possono essere divertiti, affascinati e disturbati, ma la loro libertà di scelta resta garantita. Dice Pachet: «Le macchine possono creare, ma non possono sapere se ciò che hanno creato è interessante, perché non hanno coscienza. La scelta umana è principale».
Intanto anche il web raccoglie la sfida di Spotify. Taryn Southern, star di YouTube e creatrice di contenuti, ha pubblicato Break Free, ballata che ha subito registrato un milione e mezzo di views, composta sul suo laptop da intelligenza artificiale. L’hanno già chiamata in concerto al web summit di Lisbona, dove le teste di tech si sono entusiasmate, e nel 2018 uscirà il suo EP. Parte delle royalties vanno però ad Amper, la società che ha costruito il software, a conferma che, sì, dietro le macchine ci sono gli uomini. Gli artisti dovranno perlomeno considerare se la simulazione di sincerità sia favorevole alle loro tasche.