la Repubblica, 5 dicembre 2017
Come ti rilancio il reality. Al cinema i concorrenti si sfidano per la vita
MILANO Se i reality show non sono più una novità come si corre ai ripari? L’ America, che li ha inventati (non è forse lo stesso Donald Trump una star dei reality?), ha cercato la soluzione nell’alzare l’asticella con spettacoli sempre più estremi, al cui confronto L’isola dei famosi pare una vacanza al club Med: basti pensare al game-show Fear Factor, i cui concorrenti s’infilavano in vasche piene di scorpioni, serpenti e topi, tornato quest’anno ad affacciarsi su Mtv.
Però il cinema si spinge ancora più in là, con alcune pellicole recentissime dove il reality assume i contorni dell’incubo.
Lontani i tempi di Truman Show o di Reality di Matteo Garrone, all’uscita considerati inquietanti.
Oggi la posta in gioco è la morte dei concorrenti. Come succedeva in Hunger games e come accadeva nel racconto che ispirò La decima vittima di Elio Petri: lì, però, si trattava di fantascienza, mentre i nuovi film sono ambientati al giorno d’oggi e pieni di riferimenti all’attualità.
Immigration Game, del tedesco Krystof Zlatnik, è un survival urbano che “risolve” – in una declinazione allucinante – il problema della cittadinanza degli immigrati. Coloro che aspirano a ottenerla, chiamati Runner, partecipano a uno show così congegnato: dovranno attraversare tutta Berlino a piedi evitando gli Hunters, che daranno loro la caccia armati di sbarre e coltelli e con licenza di ucciderli. Chi riuscirà ad arrivare vivo alla Torre Fernsehturm sarà integrato; gli altri avranno come solo destino la morte.
Prende spunto dai guasti della crisi economica, invece, l’americano The Show (noto anche come This is your death) di Giancarlo Esposito, il Gus di Breaking Bad. Adam Rogers (Josh Duhamel) conduce un reality show dal vivo durante il quale un concorrente uccide un uomo, prima di togliersi la vita.
Poiché l’audience s’impenna, una dirigente della rete autorizza un nuovo programma dove i partecipanti si uccidono in diretta, ottenendo un premio in denaro per i loro famigliari.
All’inizio il pubblico è scioccato, ma gli ascolti crescono vertiginosamente.
Dubbio: è lecito stigmatizzare l’ultraviolenza tramite film ultra-violenti?
Fa tutt’altro discorso l’eccellente film spagnolo di David Macìan La mano invisibile (in sala). Uno show tv mostra i concorrenti impegnati in lavori come l’operaia e la sarta, il meccanico e il macellaio, riproducendo via via i protocolli del capitalismo (sfruttamento, esclusione, ricatto…) sotto gli occhi di un pubblico che, anziché contro i carnefici, inveisce contro le vittime.