il Fatto Quotidiano, 5 dicembre 2017
James Levine, fine ingloriosa di un artista
Dice Brecht che sono fortunate quelle nazioni che non hanno bisogno di eroi. Non sono d’accordo. Di eroi tutti abbiamo bisogno perché sventurate sono quelle nazioni nelle quali il moralismo, l’ipocrisia, in fondo il fanatismo, prevalgono.
Abbiamo letto che nel 1985 il maestro James Levine avrebbe adescato un ragazzo di quindici anni per avervi rapporti sessuali. Levine nega, e non potrebbe fare altrimenti: poco ci manca che negli Stati Uniti irroghino la pena di morte per un fatto (non un reato) del genere. Penso sia vero; e certo non sarà stato il solo caso. Il punto è un altro. Adesso si scoprono le tombe e si levano i morti, si torna sempre più indietro nel tempo. Un grande attore si è vista stroncata la carriera per aver corteggiato dei ragazzi. Fra poco incrimineranno Cristo per aver difeso l’adultera e sedotto il ragazzo che sarebbe divenuto San Giovanni Evangelista.
La strumentalità di tali accuse postume si commenta da sé. Quel che fa paura è che, se da un lato la violenza e le molestie sessuali restano spesso impunite perché chi le commette gode di un appoggio ambientale fortissimo (il capufficio colla segretaria; il parroco col chierichetto), dall’altro quelli che sono rapporti erotici rientranti nella natura godono di una sorta di presunzione di violenza. Un adulto con un adolescente, o una adolescente. La coercizione morale, questo è orribile. Ma quando non c’è? Forse che un adolescente, o una adolescente, non possono provar piacere per il desiderio che suscitano in un quarantenne? E godere in un rapporto erotico con lui? E un quindicenne non è forse maturo sessualmente a sufficienza? “Pedofilia” non è l’attrazione che si sente verso un bimbo, una bimba, di sei anni? Che si dovrebbe dire di chi non sa distinguere tra pedofilia e pederastia?
James Levine è uno dei più grandi direttori d’orchestra degli ultimi quarant’anni, ha fatto la storia del Metropolitan ed è gravemente ammalato di Parkinson. Il moralismo e la viltà di chi regge il teatro l’hanno fatto immediatamente “sospendere”. Già aveva dato le dimissioni per malattia: a Capodanno avrebbe dovuto dirigere la Tosca dalla sedia a rotelle: e meglio lui sulla sedia che la gran parte dei suoi colleghi in salute: e gliel’hanno revocata. Come non ribellarsi di fronte a tanta mancanza di rispetto per l’arte – e forse per il diritto?
Negli anni Ottanta un altro sommo della direzione d’orchestra, Giuseppe Patané, s’innamorò di una violinista sedicenne, la conquistò e per un anno vi ebbe un ménage. La esibiva soddisfatto e noi amici temevamo solo che la sposasse: ma le sue vicende tristi, distruttive, furono con donne mature. Forse il grande Levine avrebbe dovuto sottrarre un po’ di tempo allo studio e diventare un attivista del gay pride. Oggi solo se sei un caso politico ti salvi: ma dal bigottismo e dall’ipocrisia puritani nemmeno Dio ci riesce. Ho cominciato con Brecht, chiudo con Heidegger: nemmeno un Dio potrà salvarci.