La Stampa, 3 dicembre 2017
Intervista a Filippo Magnini: Lascio un’eredità. Sono stato importante e anche ingombrante
Non ci sono tanti campioni italiani che hanno conosciuto lo stato di grazia in cui vincere è scontato, a Filippo Magnini è successo. Nel 2007, quando ha confermato il titolo mondiale negli imprevedibili 100 stile libero, non si aspettava altro. Era un’impresa quasi impossibile, riuscita solo ad altri tre atleti nella storia (e uno è Popov, non a caso chiamato “lo zar”), e lui era certo di ripetersi. Aveva ragione. In carriera ha strappato costumi, si è tatuato una corona sul bicipite, ha fatto innamorare e disperare: oro azzurro in una specialità che frequentiamo poco. E non solo nel nuoto. Lo sprint puro richiede fisico, tecnica e gioco di sguardi prima del via: è una dimensione in cui fatichiamo a trovare spazio. Magnini ci ha portati in un territorio che in acqua non avevamo mai visto, che in pista mancava da Mennea, per questo il suo ritiro, annunciato a più riprese e mai concretizzato fino a qui, colpisce, commuove. Filippo non poteva più giocarsi la carta «lascio all’apice», ha scelto la vena emotiva. E ha trovato il modo di uscire di scena ancora da re. [G. ZON.]
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Non ci sono tanti campioni italiani che hanno conosciuto lo stato di grazia in cui vincere è scontato, a Filippo Magnini è successo. Nel 2007, quando ha confermato il titolo mondiale negli imprevedibili 100 stile libero, non si aspettava altro. Era un’impresa quasi impossibile, riuscita solo ad altri tre atleti nella storia (e uno è Popov, non a caso chiamato “lo zar”), e lui era certo di ripetersi. Aveva ragione. In carriera ha strappato costumi, si è tatuato una corona sul bicipite, ha fatto innamorare e disperare: oro azzurro in una specialità che frequentiamo poco. E non solo nel nuoto. Lo sprint puro richiede fisico, tecnica e gioco di sguardi prima del via: è una dimensione in cui fatichiamo a trovare spazio. Magnini ci ha portati in un territorio che in acqua non avevamo mai visto, che in pista mancava da Mennea, per questo il suo ritiro, annunciato a più riprese e mai concretizzato fino a qui, colpisce, commuove. Filippo non poteva più giocarsi la carta «lascio all’apice», ha scelto la vena emotiva. E ha trovato il modo di uscire di scena ancora da re.
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Filippo Magnini, ha fatto piangere tutti con questo ritiro atteso eppure annunciato a sorpresa.
«Si vede che sono ancora bravo, dai. Quegli applausi, le lacrime che ho visto mi resteranno. Quando penserò al mio ritiro sarà un fantastico ricordo e mai un magone. Non potevo chiedere di meglio».
Quando ha deciso di dire basta proprio in piscina?
«Ovvio che, a 35 anni, il ritiro fosse nell’aria, ma solo il giorno prima della gara mi è stato chiaro che era il momento perfetto. Sono finalmente sereno. E non ne ho parlato con nessuno: tutti, con affetto, mi avrebbero detto “è giusto, è ora” e io non sarei più riuscito a farlo. Invece zero confronti. Nessuno ne aveva idea».
Cosa le hanno detto i suoi genitori?
«Mio padre era a Riccione. Io l’ho visto piangere due volte nella vita: la prima quando è morto il nonno, la seconda è questa. Mamma era al lavoro, a scuola, e al telefono ha ringraziato di essere stata altrove: “Non avrei retto”».
Rossetto, il suo allenatore storico, come ha reagito?
«Mi aveva visto strano, sfuggente come non sono mai stato. È importante che io sia tornato al mio vero allenatore, nonostante i cambi in carriera, è l’unico che considero in questo ruolo. Gli ho scritto un messaggio, “sarai sempre il mio tecnico”, ha risposto “sarai sempre il mio atleta”».
Avete iniziato insieme a Torino che ricordi ha di quel periodo?
«Splendidi. Torino è una città a cui sono legato perché mi ha formato. Ci sono rimasto tre anni. Lì ho iniziato a confrontarmi con gente che aveva fatto le Olimpiadi, lì sono diventato professionista, lì sono passato dalla rana allo stile libero, da lì arrivano le basi del mio successo. Ci sono arrivato a 19 anni, prima volta fuori da casa. Mi tengo tutto stretto, anche la fatica. Non ho mai avuto una carriera semplice».
In che senso?
«La vita sportiva è stata tormentata, mi sono trasferito quattro volte. C’è chi passa tutta l’esistenza a casa: chi a Verona, chi a Roma. Fortunati. Io ho fatto il nomade per inseguire un sogno».
Gli ori Mondiali hanno definito il suo valore, ma in realtà, anche se in staffetta, lei ha vinto pure un bronzo olimpico. Come mai lo cita di rado?
«No, lo tengo caro. Sono salito sul podio in tutte le competizioni del nuoto e in quella famosa 4x200 del 2004 sono partito in ultima frazione: in acqua c’erano Thorpe e Phelps. C’era Rosolino, c’era Hackett. Il meglio. E quella è stata l’unica medaglia olimpica del nostro nuoto in staffetta. Qualcosa vorrà dire».
Lascia degli eredi?
«Lascio un’eredità, prima di me non c’erano azzurri nei 100, ora ci provano in tanti, ci sono dei talenti veri. Molti ragazzi, anche sedicenni, appena ho dato l’addio, sono venuti a dirmi grazie per cose che non potevo immaginare. So di essere stato una presenza importante in nazionale, ma anche uno ingombrante. Quando ho lasciato la piscina ho detto: adesso è tutta vostra».
Ha voluto Dotto vicino al momento dell’annuncio.
«Non era un’investitura, gli auguro il meglio, ma io pensavo solo all’amico. Gli ho detto: se piango parla subito di donne, così vado avanti».
A questo proposito, Federica Pellegrini le ha scritto un messaggio molto intenso.
«Siamo stati insieme sei anni e tutto quello che ci siamo detti in queste ore è stato potente. Leggere frasi come”mi lasci sola in nazionale” e “che i figli del nuoto ti somiglino” mi ha fatto un certo effetto...».
Ora che succede?
«Riposo fino a che non mi farà più male nulla, poi ho vari progetti. Voglio restare nel mondo dello sport che mi ha dato tanto e a cui ho dato tantissimo».
Pensa a un lavoro con il Coni?
«Non escludo nulla».
È ancora in attesa del giudizio sportivo sulla vicenda legata al doping che riguarda i rapporti con il suo ex nutrizionista.
«Non sono preoccupato, la giustizia ordinaria ha chiarito la mia estraneità ai fatti, quella sportiva farà il suo corso. Ripeto, adesso sono davvero sereno».
Equilibrio ritrovato o è cambiato qualcosa nella sua vita?
«Caspita... scriva che rido invece di rispondere. Così stiamo più tranquilli».