La Stampa, 3 dicembre 2017
Nella competizione globale su politiche fiscali e imposte. La Ue resta ferma al palo
«Sarà una cosa bellissima». Donald Trump ha usato parole che di solito riserva per Miss Universo o uno dei suoi alberghi per descrivere la rivoluzione delle tasse americane.
Anche chi non ama il presidente Usa deve ammettere che la riforma fiscale passata dal Senato è un eccezionale atto di equilibrismo politico-economico, e non solo per milioni di aziende e cittadini americani.
Se, come è probabile, Trump e i suoi vinceranno l’ultima battaglia – ci vuole solo un accordo tra i due rami del Congresso di Washington – gli Usa diventeranno la superpotenza mondiale delle tasse basse, aggiungendo un’arma devastante al loro enorme arsenale economico.
Nell’America di oggi, spaccata da tante tensioni sociali, politiche ed economiche, la sinistra è infuriata dalla preferenza spudorata del milionario Trump per una riforma che aiuterà i benestanti. Gli investitori e i mercati, invece, applaudono la Casa Bianca e adorano l’idea che le imprese (e gli amministratori delegati) diano meno al fisco. Il resto del mondo, e soprattutto l’Europa, devono stare in guardia. La più grande trasformazione del sistema fiscale Usa dagli Anni 80 potrebbe mettere ancora più in evidenza gli annosi problemi strutturali di una Ue incapace di sviluppare lo spirito imprenditoriale del continente. Tutto d’un tratto, le ondate di concorrenza fiscale per l’Europa non verranno più solo da paradisi tributari un po’ dubbi quali Bahamas, Maldive e isole Cayman, ma dall’economia più grande del pianeta.
La matematica è abbastanza semplice e lascia poco all’immaginazione. Al momento, le società Usa pagano, in media, le tasse più alte di qualsiasi altro Paese industrializzato. L’aliquota-base è del 35% ma in realtà arriva a più del 38% con aggiunte e mancanza di esenzioni, secondo il think tank Tax Foundation. Trump e il Congresso vogliono spendere 1400 miliardi di dollari per ridurla al 20-22%, meno della media mondiale.
Sarà vero e ne varrà la pena? Sono domande valide.
L’amministrazione Trump gonfierà la bolla già grande del deficit pubblico per dare una mano ad imprenditori che non sembrano avere bisogno di aiuto. Nonostante le tasse alte, l’economia americana sta crescendo a ritmi elevatissimi, la disoccupazione è al livello più basso in 17 anni e società «giovani» quali Apple, Google ed Amazon dominano il capitalismo mondiale.
Non è detto che un ribasso, anche notevole, delle tasse faccia una grande differenza. Il sistema americano ha sempre creato ricchezza, concorrenza e spirito imprenditoriale a dispetto di dazi, burocrazia e governi. La differenza fondamentale tra il capitalismo europeo e quello americano è che il primo chiede favori al governo mentre il secondo gli chiede di togliersi di mezzo. È per questo che i sostenitori dei tagli Usa dicono che scateneranno un’onda di darwinismo economico capace di trascinare l’economia Usa. Chi vi si oppone dice l’opposto: che serviranno ad arricchire i ricchi, spingendo ancora più nel baratro lavoratori e ceti poveri. A prescindere dal braccio di ferro tra Darwin e Keynes, l’Europa deve prendere nota. Sono passati quasi vent’anni dall’«agenda di Lisbona» del 2000, il grande piano dell’Ue per «sgessare» lo spirito imprenditoriale del continente. Non ha funzionato. E la cosa più preoccupante è che non ha funzionato nonostante le società europee abbiano pagato molto meno tasse delle rivali Usa.
La media delle aliquote Ue è intorno al 25% e non siamo ancora riusciti a creare nemmeno una sembianza di Google, Amazon o Apple. Che cosa succederà ai nostri imprenditori quando i futuri Steve Jobs e Jeff Bezos pagheranno ancora meno al fisco dall’altra parte dell’ Atlantico? C’è chi dice che non bisogna lamentarsi perché l’economia europea sta crescendo. Che il nostro sistema non è ideale per società di alta tecnologia ma che ci rifacciamo nel campo creativo (il Sud-Europa di Prada, Gucci e Zara) e industriale (il Nord-Europa di Bmw, Mercedes e Shell).
Ma non dimentichiamoci il vero motivo della crescita attuale: tassi d’interesse bassissimi che hanno permesso ad aziende ed imprenditori di ottenere denaro e investimenti a basso costo. Quando, come è inevitabile, i tassi aumenteranno, sarà più difficile competere con il resto del mondo. Per dirla con il grande investitore Warren Buffett: «Quando la marea scende si vede subito chi stava nuotando nudo».
La «bellissima» riforma fiscale Usa potrebbe essere un’altra bugia di Trump. Ma l’Europa non può permettersi di non credergli.
*Direttore di Dow Jones Media Group in Europa
Twitter: @guerreraf72