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 2017  dicembre 03 Domenica calendario

«Sono diventato un anziano solo da tre anni». Intervista a Ennio Morricone

Dall’alto del dodicesimo piano, nella sua nuova casa immersa nel verde dell’Eur, vede una Roma diversa da quella che ha avuto davanti agli occhi per 30 anni: San Paolo, il Palazzo della Civiltà, il Fungo, sullo sfondo i Castelli. «Qualche mese fa ho lasciato l’appartamento affacciato sull’Ara Coeli in cui ho scritto tante musiche. Troppo smog, confusione, traffico. Non ne potevo più di tenere le finestre chiuse», spiega Ennio Morricone. Dall’alto dei suoi 89 anni, vede la vita e il lavoro con entusiasmo immutato e ancora nel segno di quel rigore che ha fatto di lui un’eccellenza italiana da esportazione: ha ripreso la tournée in cui dirige i propri brani, è al lavoro sul nuovo film di Giuseppe Tornatore, probabilmente farà le musiche del sulfureo biopic su Charles Manson firmato Tarantino. 
«Se Quentin mi chiama di nuovo, dico di sì». Una carriera settantennale, 500 colonne sonore, due Oscar, la stella sulla Walk of Fame di Hollywood, una marea di premi vinti dovunque, quattro figli, il sodalizio con registi come Sergio Leone, Elio Petri, Bernardo Bertolucci, John Carpenter, Brian De Palma, Barry Levinson, Mike Nichols, Oliver Stone: perfetto mix tra disincanto romano e perfezionismo esasperato, Morricone è un artista che guarda avanti. «Preferisco coltivare i progetti più che i rimpianti», dice, mentre la moglie Maria, al suo fianco dal 1950, è una presenza discreta ma decisiva quando si tratta di ricordare una data, un episodio, il titolo di un film. Maestro, non rischia di stancarsi a stare sul podio? 
«No, mi estenua semmai il desiderio di garantire una buona esecuzione. Non tollero errori né da parte mia né da parte degli orchestrali». 
Le sono mai capitati incidenti?
«Una volta un’arpista non ha creduto al mio gesto e, nel bel mezzo della musica di Mission, ha attaccato mezza battuta prima del dovuto. Le viole gli sono andate dietro e per venti secondi c’è stato il caos. Sto male solo a pensarlo: scrivere quel brano è stato molto faticoso». 
Ma nel 1987 le ha portato la nomination all’Oscar, che avrebbe però vinto poi per l’insieme della carriera e per The Hateful Eight. Dove sono le due statuette? 
«Le ho lasciate nella casa dell’Ara Coeli, le prenderò più avanti. Sono le ultime cose di cui ho bisogno». 
Ricevere gli Oscar è stata l’emozione più grande della sua carriera?
«È stata più forte la delusione di non aver vinto per Mission». 
Il connubio artistico con Tornatore somiglia a quello che ha avuto con Leone?
«Sergio è mancato troppo presto. Con Peppuccio il rapporto dura da una trentina d’anni e ha regalato a entrambi il coraggio di dirsi in faccia le cose che non vanno». 
Cosa ha pensato quando il regista di Nuovo Cinema Paradiso è stato accusato di molestie? 
«Non ho creduto a una sola parola di quelle accuse».
Con Leone è andato sempre d’accordo? 
«No, abbiamo anche litigato. E sua moglie Carla è stata sempre dalla mia parte».
Ricorda uno scontro con il regista di Per un pugno di dollari? «Mentre registravamo la colonna sonora di C’era una volta il West, Sergio mi fece litigare con l’orchestra: pretendeva che suonasse più forte. Allora il primo violino si ribellò: “Prendiamo ordini solo da Morricone!”». È vero che Leone le impedì di comporre la colonna sonora di Arancia meccanica? 
«Stanely Kubrick voleva ingaggiarmi e chiamò per correttezza Leone con cui stavo lavorando a Giù la testa. Sergio gli disse di aver bisogno di me al missaggio, ma non era vero. E Kubrick, per non fargli uno sgarbo, al posto mio prese Walter Carlos». 
Ma lei non si è arrabbiato, scusi?
«Ho saputo troppo tardi che Sergio aveva detto una bugia. E forse aveva davvero bisogno di me». 
C’è un regista con cui non ha voluto lavorare?
«Dopo aver scritto tre colonne sonore per Roberto Faenza, il regista mi chiese a bruciapelo: “Sei contento del lavoro che hai fatto per me?”. E io ho chiuso i ponti». 
Non ha mai avuto la tentazione di trasferirsi a Hollywood? «Dino de Laurentiis mi offrì una villa, ma rifiutai: amavo Roma, non ho mai imparato l’inglese e non avevo nessuna intenzione di stare al servizio del produttore». 
Com’è finito a fare il musicista?
«Da piccolo sognavo di diventare medico ma papà, che manteneva la famiglia suonando la tromba, mi convinse a seguire le sue orme. I professori del conservatorio mi spinsero poi a diplomarmi in composizione». 
E come si è imbattuto nel cinema?
«Facevo arrangiamenti e orchestrazioni per la televisione dove incontrai il regista Luciano Salce che nel 1961 mi commissionò la colonna sonora di Il federale. Fu la partenza di una carriera vorticosa». 
Cosa l’ha spinta a lavorare come un pazzo?
«La preoccupazione di mantenere la famiglia. Ad essere sincero, l’ho superata solo una quindicina d’anni fa». 
Ha guadagnato moltissimo: che rapporto ha con i soldi? «Inesistente. Da anni giro senza un centesimo in tasca. Gestisce tutto mia moglie e non spreca nulla. Sia lei sia io veniamo da famiglie tutt’altro che ricche». Si considera un buon marito, un buon padre? 
«Sono stato concentratissimo sul lavoro, ho composto fino a 20 colonne sonore all’anno ma ho dormito sempre con mia moglie. La volontà di tenere unita la famiglia è stata una priorità, per questo ho accettato che venissero a vivere con noi mia suocera e mia cognata. Dapprima ero infastidito, poi ho capito che era la cosa giusta». 
Dei suoi figli solo Andrea fa il musicista, lo ha aiutato?
«Ha cominciato a studiare per conto suo, senza ascoltarmi. Allora l’ho mandato da un’insegnante bravissima e severissima. Era tentato di mollare ma gliel’ho impedito». 
Ricorda un’umiliazione? 
«Nel 1998 i produttori rifiutarono la colonna sonora che avevo scritto per il film americano Al di là dei sogni: mi mandarono a dire che la musica era “troppo forte”. Mi pagarono e scelsero un altro brano». 
Ha mai visto il Festival di Sanremo?
«Mai. Una volta, ascoltando per caso Andrea Bocelli, dissi a mia moglie: “Questo sfonderà”. Ho avuto ragione». 
Le piace la musica leggera attuale?
«L’egemonia degli americani ha banalizzato tutto. Quando facevo gli arrangiamenti avevo la presunzione di portare qualcosa di mio. Altri tempi». 
Si sente anziano? 
«Tre anni fa mi sono rotto il femore e cammino con più fatica. È l’episodio che mi ha fatto sentire la mia età per la prima volta». 
Come immagina i suoi 90 anni?
«Spero di essere ancora al lavoro». 
Il pensiero della morte la sfiora mai?
«Sì, la considero un evento naturale. Mi dispiacerebbe soltanto lasciare da sola mia moglie. Vorrei che ce ne andassimo insieme dolcemente, come abbiamo sempre vissuto». 
Nemmeno un rimpianto nella sua vita?
«Per qualche anno, del tutto assorbito dal cinema, ho trascurato la musica assoluta. Eppure ho firmato cento composizioni al di fuori dello schermo! Poi ho ripreso». 
Si sente declassato quando la considerano un autore di colonne sonore?
«No, sono fiero di scrivere per il cinema, un’arte che le racchiude tutte. Ma rivendico il resto del mio lavoro». 
Ha un sogno? 
«Vorrei che, dopo la mia morte, venisse eseguita la musica assoluta che ho composto. Mi dispiacerebbe che il cinema oscurasse quella parte di me così importante».