Il Sole 24 Ore, 3 dicembre 2017
Russia e Cina investono su Caracas. Rosneft e i cinesi pronti ad accordi con la società petrolifera statale Pdvsa
La guerra guerreggiata tra Venezuela e Stati Uniti prosegue quasi ogni giorno; in campo si fronteggiano agenzie di rating, mercati finanziari, amici e nemici del presidente Nicolas Maduro. In una giostra di dichiarazioni, repliche, accuse e minacce, la Russia c’è e resta al fianco di Caracas. Il gigante petrolifero Rosneft non vede rischi nella cooperazione con il Venezuela, che verrà rafforzata. Lo ha detto il portavoce della società Mikhail Leontyev al quotidiano Izvestia.
I nuovi incarichi assegnati da Maduro al generale Manuel Quevedo, che ricopre sia il ruolo di ministro del Petrolio, sia quello di presidente della società statale Pdvsa, hanno rafforzato la convinzione che l’Esercito guadagni posizioni e ulteriori responsabilità nella politica petrolifera, che è l’unica realmente strategica. Rosneft possiede azioni in quattro progetti petroliferi in Venezuela e nonché il 40% delle azioni nella joint venture nel gas con Pdvsa, PetroMonagas.
La situazione finanziaria del Venezuela rimane avvolta da varie criticità, ma né Pdvsa, né il Paese sono caduti in default. Vi sono ritardi nel pagamento delle cedole, ma Clearstream ed Eurostream, i grandi operatori finanziari con sede in Lussemburgo e a Bruxelles, hanno ricevuto i fondi da Caracas. Rosneft ha assicurato che tutti i rischi sono stati presi in considerazione. Il capo analista di Sberbank Cib, Valery Nesterov, ripreso dall’agenzia di stampa Tass, ha dichiarato che «le sanzioni degli Stati Uniti danneggiano gravemente Pdvsa, che deve vendere il suo petrolio attraverso intermediari». L’altra stampella politico-finanziaria di Maduro è la Cina, che negli ultimi anni ha investito più di 62 miliardi di dollari nell’economia venezuelana, prevalentemente nel settore petrolifero.
Intanto governo e opposizione hanno concluso ieri notte l’appuntamento a Santo Domingo, nel nuovo tentativo di riallacciare il dialogo. L’incontro è stato organizzato dal governo della Repubblica Dominicana alla presenza di due Paesi scelti dal governo di Maduro (Nicaragua e Bolivia) e altri due scelti dall’opposizione (Cile e Messico). Le parti arrivano al tavolo della trattativa in posizione di debolezza: l’opposizione è divisa sulla scelta di partecipare al dialogo, mentre il governo, pur avendo onorato le scadenze sul debito, sa che gli obbligazionisti non hanno incassato le cedole a causa dell’ostruzionismo dei mercati finanziari e ciò allarga inevitabilmente il novero dei “nemici” o quanto meno di chi contesta il presidente.
Alla riunione di Santo Domingo le richieste sono state queste: il governo pretende che l’opposizione appoggi la sospensione delle sanzioni imposte dagli Usa, mentre l’antichavismo insiste sull’urgenza di aprire un canale umanitario per cibo e medicine nell’immediato, così come di un’intesa su garanzie specifiche per le presidenziali del 2018, e in primis la sostituzione dei membri del Consiglio nazionale elettorale, accusati di parzialità a favore del governo. Per ora è un dialogo tra sordi.
Due giorni fa è stata aperta una nuova emissione e distribuzione di Carnet de la Patria, la tessera annonaria che distribuisce cibo a prezzi calmierati in alcune piazze del Paese. Una modalità detestata dall’opposizione e suggerita da L’Avana, che l’ha istituita cinquant’anni fa. Nessun venezuelano, adagiato sulle riserve petrolifere più imponenti del mondo, avrebbe mai immaginato di ricorrerne.