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 2017  novembre 12 Domenica calendario

Storia di Pino Donaggio

“Ma che disastro le registe donne...”
Pino Donaggio sfida il politically correct

Fabrizio Accatino
 
Dice che non ama lavorare con le registe donne «perché, non so come mai, cambiano idea ogni giorno e diventa tutto un disastro». Pino Donaggio sorride, è un veneziano pieno di humor, e pazienza per il politicamente corretto. Tanto più nel giorno in cui al Festival arriva la regista che ha scatenato una scia di polemiche (peraltro tutte italiane) con le sue denunce pubbliche contro Harvey Weinstein. Quella di Pino Donaggio (che ha scritto musiche anche per il papà di Asia, Dario Argento) è l’ironia garbata di uno che signore lo nacque, per dirla alla Totò. Uno che conserva la semplicità di chi al successo sembra esserci arrivato per caso. Non è così, se il Torino Film Festival ha deciso di conferirgli il Gran Premio Torino. Vero è che agli esordi mai avrebbe immaginato di diventare uno dei più importanti musicisti per il cinema, oltre che uno dei compositori di riferimento per Brian De Palma (a cui il Festival dedica la retrospettiva). «È stato solo il destino» dice Donaggio, arrivato ieri in città. «Non avrei mai pensato di scrivere per il grande schermo. Suonavo il violino, volevo fare il solista, poi mi sono ritrovato al Festival di Sanremo. Ed è andata così anche per il cinema».
Il suo è un percorso unico nel mondo della musica contemporanea. Di formazione classica, nato da una famiglia di musicisti, a dieci anni già suonava. Il conservatorio (prima a Venezia, poi a Milano), le prime esperienze in concerto con l’orchestra dei «Solisti Veneti», le prima canzoni composte per altri artisti. Finché sul finire degli anni Cinquanta – come tanti della sua generazione – resta folgorato dal rock’n’roll. Inizia a scrivere brani per se stesso e con uno di questi («Come sinfonia») arriva in testa alle classifiche, suscitando l’interesse di Mina, che pochi mesi dopo ne inciderà una cover. Donaggio registra ancora una cinquantina di brani con il suo stile fresco e orecchiabile, che lo fa ben figurare in tutte le più importanti manifestazioni canore, da Sanremo a Un disco per l’estate, dal Festival delle Rose a Canzonissima. Ma nel suo futuro c’è il festival di Cannes, non quello di Sanremo.
La svolta cinematografica arriva nel 1973, quando il regista inglese Nicholas Roeg chiama Donaggio per musicare «A Venezia… un dicembre rosso shocking». Sembra un divertissement, invece è l’inizio della seconda fase della sua carriera, la più lunga. Vince il premio della stampa inglese per la migliore colonna sonora dell’anno e questo lo segnala a Brian De Palma. Morto il grande Bernard Hermann, le musiche di «Carrie, lo sguardo di Satana» toccano a lui. Inizia così il sodalizio di ferro con il regista americano, che resiste tutt’oggi, intervallato da colonne sonore di ogni genere, dalla commedia di «Non ci resta che piangere» con Benigni e Troisi al dramma esistenzialistico di «Interno berlinese» di Liliana Cavani. La sua più recente fatica risale a pochi mesi fa: la colonna sonora di «Dove non ho mai abitato» di Paolo Franchi. Le musiche di un piccolo film italiano girato da un regista irregolare sono l’ultima scommessa vinta da questo ragazzo di 76 anni, partito da Burano e arrivato a Hollywood.
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