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 2017  novembre 12 Domenica calendario

Il bambino di Scola adesso vota Berlusconi

Il simbolo del riscatto operaio
quarant’anni dopo è precario

Il futuro tradito del bimbo protagonista di un film di Scola
Federico Callegaro
 
In una Torino che ha per fulcro centrale le cataste della frutta impilate a Porta Palazzo si muove agile Massimino. È un bambino di origini pugliesi che vive con la famiglia in quello che, già negli anni 70, è un quartiere di migranti.
Il piccolo corre nelle pozzanghere, si aggira tra i banchi del mercato e si sofferma a giocare fino a che un uomo non gli si avvicina e inizia a fargli delle domande: «Tu non hai dubbi?», chiede il signore. «No», risponde Massimino. «E allora avrai un grande futuro da intellettuale e lavorerai alla Rai Tv», risponde l’uomo con gli occhiali che ora lo sta abbracciando. Il signore è Ettore Scola e siamo nel 1980, anno in cui il regista è arrivato in città per girare un film di cui il piccolo immigrato pugliese diventerà protagonista e filo rosso narrativo: «Vorrei che volo».
«È una frase detta dal bambino guardando gli aeroplani in cielo, è il desiderio di cambiare – spiega Scola in un’intervista -. È il desiderio di poter far diventare diversa una situazione». Ed è di questo che si parla nel film, un documentario in cui si cerca di descrivere una città in continua trasformazione: della possibilità di cambiare attraverso le elezioni che porteranno nuovamente il sindaco del Pci Diego Novelli a diventare primo cittadino. Massimino incarna il figlio della Torino operaia che può sperare in un futuro migliore. Ma che fine ha fatto quel bambino? A raccontare il suo futuro ci ha provato il regista siciliano Piero Li Donni, che lo ha trovato e lo ha messo nuovamente davanti alla macchina da presa.
Le interviste
Le interviste contenute nel film di Scola, in cui vengono spiegate le migliorie apportate alla città che porteranno a un futuro luminoso anche le classi sociali più umili, si scontrano con le immagini del documentario di Li Donni.
«Un amico mi chiamava al telefono e mi diceva che c’era un lavoro da fare e andavamo a fare una rapina», racconta davanti allo specchio il Massimino adulto, che oggi vive facendo lavoretti da decoratore e abita vicino alle palazzine occupate del Moi. «Volevo provare a capire che fine avesse fatto per raccontare la sua storia ma anche quella della città – spiega il regista del documentario -. Per farlo sono andato a cercare i documenti di produzione e l’ho rintracciato». L’incontro, però, ha avuto da subito alti e bassi: «Massimino ha avuto parentesi di vita travagliate e ha conosciuto anche il carcere – racconta Li Donni -. Accostando la Torino del 1980 a quella di oggi emerge con forza che qualcosa sia andato storto: gli intellettuali del Pci pensavano che progresso sociale e sviluppo sarebbero andati a braccetto mentre il primo è rimasto fermo in favore di una rapida avanzata del secondo». L’occhio della telecamere segue il protagonista del film di Scola che è diventato grande ma che prosegue le sue camminate per le vie della città. Non ci sono più le automobili parcheggiate in piazza San Carlo e Massimino non è quel bambino che sorrideva imbarazzato alle domande del regista famoso. Ora guarda gli annunci di lavoro sulle riviste di settore, stampa dei biglietti da visita in cui si offre come decoratore e si arrabbia con i passanti che non vogliono prendere il volantino, oppure parla di politica: «Cosa voterebbe oggi il bambino diventato simbolo di un documentario del Pci? Lui mi ha detto che continua ad apprezzare molto Silvio Berlusconi – spiega il regista siciliano -. E che potrebbe votare per lui». Scola, invece, è un ricordo d’infanzia piacevole ma sbiadito: «Per lui era un signore molto affettuoso e simpatico che gli comprava giocattoli e vestiti e che ha continuato ad andare a fargli visita anche dopo che ha finito le riprese del suo lavoro – racconta il regista -. Non sapeva che fosse morto. Lo ha scoperto da me e c’è rimasto molto male».

Il paradosso
Il film di Scola si apre con una lettera di protesta di una cittadina: «Caro sindaco, quasi ogni giorno qualche povera donna viene derubata – si sente nel video -. Quello che stupisce in questa triste vicenda è la sicurezza con cui questi malfattori meridionali, spesso di 10 e 12 anni, agiscono». È questo uno dei tanti problemi trattati dalla pellicola ma quello che lascia perplesso Piero Li Donni è come mai Scola abbia scelto Massimino, un bambino che aveva qualche piccolo precedente per furto, per rappresentare i figli della classe operaia che sono usciti dalla delinquenza: «È un paradosso che, nonostante abbia studiato i suoi film, non riesco a capire».