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 2017  dicembre 01 Venerdì calendario

Salinger inedito: «Miss, ho avuto bollori non un vero amore»

L’amore è un estraneo per J. D. Salinger nella primavera del 1979. L’autore del Giovane Holden, alla vigilia del ritiro volontario nel suo cottage di Cornish, nel New Hampshire, non sa se porti più doni o veleno. «Sono mai stato innamorato, mi chiedi. (…) Non direi Amore, davvero. Cotte, colpi di fulmine, febbri assortite, bollori e raffreddori, matrimoni e relazioni formate da abitudini, ma non proprio una quantità di maledetto amore, Miss». Sei anni prima, lo scrittore aveva chiuso di colpo un’intensa, breve convivenza con la giovane scrittrice Joyce Maynard. L’aveva conosciuta con una lettera; si erano lasciati durante una vacanza in Florida, dopo una seduta di agopuntura consigliata per alleviare un blocco sessuale della ragazza. Ora si confessa, di nuovo per lettera, con un’altra adolescente, questa volta conosciuta per caso di fronte all’ufficio postale di Windsor, vicino all’abitazione di Salinger, sull’altra riva del fiume Connecticut.
Lei è Toody Maher, una diciottenne giocatrice di pallavolo che si gode lo Spring Break, le vacanze primaverili dal college. Salinger ha compiuto sessant’anni, ma ha ancora l’atteggiamento dinoccolato del vecchio ragazzo, altissimo, i capelli portati a spazzola come quelli di Holden Caulfield, ormai più bianchi che grigi. Al primo incontro, è colpito dal «favoloso maglione» che la ragazza indossa, lui così attento ai dettagli di abbigliamento, nella vita e alla macchina da scrivere. Forse gli sembra una epifania improvvisa, un suo personaggio incarnato nell’aria rarefatta e rurale del New England.
Giubbotto salvavita
Con Toody scherza su un metaforico, magico giubbotto antiproiettile, nascosto sotto il maglione. Una protezione dalle schegge taglienti della vita. «Solo le persone forti, fiere e amorevoli ne hanno uno» le scrive J. D. in una lettera di poco successiva al loro primo incontro. «Chiedo solennemente – anzi comando umilmente – che tu metta sempre da parte quell’inestimabile equipaggiamento protettivo per quello che mi riguarda. Nessuno sano di mente si mette sulla traiettoria di un proiettile costruito per una fiction machine, che è ciò che io sono, esattamente quello che sono (…). Una macchina per narrare storie, è questo per cui sono stato tagliato, niente di meno, ma anche niente di più di questo».
Le parla della scrittura quotidiana, iniziata presto ogni mattino, il cui risultato letterario, forse un romanzo di guerra, oggi è ancora negli archivi sigillati del Salinger estate, a sette anni dalla morte dello scrittore. L’ultimo racconto pubblicato è Hapworth 16, 1924, sul New Yorker, nel giugno del 1965. Poi, dalla «fortezza» di Cornish solo silenzio e qualche indiscrezione.
La corrispondenza tra l’eremita della letteratura americana e la ragazza dura 17 anni. Alle missive si alternano le telefonate, e ci sono rari viaggi di Toody Maher nel New Hampshire. Il tono è spesso tenero, spezzato dall’ironia, dagli scherzi complici. È quello che si coglie leggendo le ventuno lettere inedite di Salinger all’amica, che Christie’s metterà all’asta a New York il prossimo 5 dicembre con una valutazione intorno ai 63 mila euro.
Confessioni epistolari
Toody, tra le giovani corrispondenti di Salinger, è tra le meno conosciute, anche dagli studiosi. Si sa tutto di Joyce Maynard, che accusò lo scrittore di manipolazione e di crudeltà sentimentale nell’autobiografia At Home in the World (A casa nel mondo) del 1998. L’anno dopo vendette la corrispondenza con Salinger a un’asta di Sotheby’s. Si sa molto del rapporto tormentato con la seconda moglie Claire, pure lei una studentessa, sposata nel 1955, che gli ispirò il personaggio della nevrotica Franny Glass in Fr
anny e Zooey. Lo descrisse la figlia Margaret in Dream Catcher (l’acchiappasogni), in cui sono portati alla luce anche i traumi post-bellici del giovane Jerome David, che, arruolato nell’intelligence militare, fu uno dei primi soldati americani a entrare in un campo di concentramento nazista alla fine della Seconda guerra mondiale.
Di sicuro, ci furono altre corrispondenti in fiore: Maynard ne ha citate alcune, lettere sbirciate nel periodo di convivenza al cottage. Ma non si tratta necessariamente di seduzioni reiterate. Salinger rispondeva anche a giovani ammiratori, come al danese Nils Schou, che al suo rapporto epistolare ha dedicato un romanzo, ma le lettere vere le ha fatte leggere solo alla moglie. Era piuttosto un desiderio di aprire contatti nella solitudine autoimposta.
Scrive a Toody nell’aprile del ’79: «È una mia ipotesi ponderata che ci sia una sorta di connessione infrangibile tra i nostri due tipi – tu una diciottenne e io un sessantenne – una connessione impervia alla ruggine, alla distanza, agli acidi, allo spazio, al tempo, alla maionese (…). Gli individui che sono realmente connessi, legati in modo indefinibile ma vero, tendono a fare ricorso a sforzi e risorse comuni (…) per guadagnare l’accesso al Jnana, la saggezza, l’illuminazione». Tra queste risorse, secondo Salinger, c’è l’amore, quello mistico, piuttosto che quello individuale, come scrive in un’altra lettera. «I veri mistici, o coloro che sono ritenuti tali, tendono a suggerire che il vero amore non ha nulla a che fare con quello che passa per amore nella nostra esperienza/filosofia terrena». Eppure, con Toody, fa un veloce riferimento a una donna misteriosa, senza citarne il nome. Potrebbe essere Oona O’Neill, che conobbe sedicenne quando lui era un giovane scrittore alla ricerca del successo, e che lo lasciò per l’anziano Charlie Chaplin mentre lui era al fronte. Le scrisse lettere lunghissime, talora feroci. «Sapevamo che vivere insieme sarebbe stato disastroso, per non parlare di un matrimonio. Non so se quell’inquieto rapporto era amore. Voglio credere di no».
Nostalgia dei personaggi
A Joyce Maynard, Salinger aveva detto che l’amava più di ogni personaggio che avesse creato. Intanto, passava le ore a Cornish a tracciare diagrammi delle genealogie, dei caratteri delle sue famiglie letterarie, i Caulfield e i Glass, primi modelli di una mitologia di famiglie newyorchesi eccentriche, disfunzionali e favolose, frequenti nei film di Wes Anderson e Woody Allen. Con Toody pare trovare il timbro con cui discorre sulla pagina con i suoi migliori personaggi femminili, ragazzine fatate e protettrici, come parlasse a una Esmé o a una Phoebe Caulfield ormai cresciuta. Alla fine del Giovane Holden, il protagonista comincia a provare nostalgia per i personaggi che sta per abbandonare, anche quelli più detestati: «Non raccontate mai niente a nessuno. Se lo fate, finisce che sentite la mancanza di tutti». Nell’ultima parte della vita, per la perfetta macchina narrativa, la mancanza dei suoi personaggi è più forte di quella per le persone reali. Magari ne esiste uno nelle pagine ancora chiuse in una cassaforte che attraversa una Main Street con un «favoloso maglione» e un giubbetto anti proiettile da prestare in caso di bisogno.