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 2017  dicembre 01 Venerdì calendario

Viaggio al confine della Brexit, dove l’Irlanda si può riunire

PETTIGO ( FRONTIERA IRLANDESE)
La bottega del parrucchiere e l’officina del garagista sono in Irlanda del Nord, che fa parte del Regno Unito. Ma il coffe-shop dove l’uno e l’altro vanno a fare colazione si trova nella repubblica d’Irlanda. Per arrivarci, il parrucchiere e il meccanico compiono pochi passi, attraversando il ponte di pietra sopra il Termon, fiumiciattolo che delimita il confine fra le due nazioni. Una frontiera invisibile: non ci sono controlli, barriere, ostacoli. L’unico indizio che si entra in uno stato differente è un segnale stradale in due lingue, inglese e gaelico, invece che in una sola, e il divieto di velocità in chilometri, l’unità di misura irlandese, anziché in miglia britanniche. Vent’anni or sono, c’erano posti di blocco e filo spinato sui due lati del ponte: questa era una frontiera visibile, armata e violenta. Fra un anno e mezzo, a causa della Brexit, rischia di tornare incandescente.Il villaggio di Pettigo, popolazione 600 anime, è l’unico centro abitato, su 500 chilometri di frontiera fra le due Irlande, tagliato a metà dal confine. Nel 1922, all’apice della guerra d’indipendenza che fece di tre quarti dell’Irlanda uno stato sovrano sottraendola a Londra, questo paesino sperduto fra verdi colline fu teatro di un’aspra battaglia, come ricorda il monumento eretto di fronte al caffè, in memoria dei combattenti dell’Irish Republican Army (Ira) uccisi dalle forze britanniche. A fianco del memoriale, sventola il tricolore irlandese. Poco più in là, una chiesa cattolica, con il suo cimitero. Sul lato opposto del ponte, in Irlanda del Nord per intendersi, ce n’è una protestante, anch’essa cinta di tombe. Ma le campane di Pettigo, dal Venerdì Santo del 1998, suonano per tutti, grazie all’accordo di pace firmato quel giorno che mise fine a tre decenni di guerra civile fra indipendentisti cattolici, determinati a riunificare l’isola, e unionisti protestanti, decisi a tenere la parte settentrionale attaccata alla Gran Bretagna.L’epoca dei “Troubles”: alla lettera, problemi. Fecero 3600 morti.«È stata l’Europa a portare la pace, facendo scomparire il confine, diluendo l’identità delle due parti e creando la sensazione che la nostra isola fosse una cosa sola», dice Martina Doyle, coordinatrice del Forge Family Centre Pettigo, un centro finanziato da Dublino per lenire le conseguenze a lungo termine del conflitto. In sostanza, finché Regno Unito e Irlanda appartengono alla Ue, l’isola non si sente divisa. Ma dopo la Brexit c’è il timore che ricominceranno le divisioni. «Si desteranno vecchie ferite, si complicheranno i commerci, sarà come ricostruire un muro di Berlino dopo aver faticato tanto ad abbatterlo», prevede l’assistente sociale, che ricorda bene, da bambina, le severe procedure per passare da una parte all’altra del fiume. «Oggi abbiamo clienti da entrambi i lati», commenta James Gallagher, gestore dello Stop & Shop Cafè, l’emporio del paese. «E con la Brexit potremmo perdere molto più dei clienti». Come testimonia Mervyn Johnston, il garagista sul lato nord-irlandese: «Durante i Troubles, l’Ira mi bombardava di continuo l’officina. Una volta il garage è praticamente precipitato nel fiume». Ad altri è andata peggio: gli indipendentisti uccisero a pistolettate il fratello di Ken Funston, un agricoltore del posto, mentre riportava le vacche nella stalla. Dalla parte opposta del ponte, ricordi non meno atroci: vendette di unionisti, repressioni dei commandos Sas.Le “vecchie ferite” che Martina Doyle si sforza di sanare: «La violenza è pressoché scomparsa», osserva, «ma sotto la pelle permane il rancore. Ci metterebbe poco a riemergere».Anche se non scoppiasse di nuovo la guerra civile, basterebbe quella commerciale a fare danni. Camion carichi di merci passano di qui e dalle altre 300 strade che attraversano la frontiera: se ci fosse il confine dovrebbero perdere tempo e pagare dazio. Per tacere delle fattorie, dove le mucche pascolano liberamente, sconfinando tra Ue e Gran Bretagna. Una soluzione sarebbe fare rimanere l’Irlanda del Nord, che nel referendum votò 56-44 per cento contro la Brexit, nel mercato comune o nell’unione doganale, come propongono il governo di Dublino e gli indipendentisti di Belfast. Londra e i suoi alleati unionisti di Belfast si oppongono: lo vedono come il riconoscimento che l’Irlanda del Nord è diversa dal resto del Regno Unito e un tacito consenso alla riunificazione dell’isola.Un compromesso per avere un confine “aperto” senza che l’Irlanda del Nord tenga un piede in Europa è possibile, secondo le ultime indiscrezioni, ma resta il punto più complesso del negoziato sulla Brexit. Dal ponte sul fiume Termon, per adesso, si scorgono solo problemi.“Troubles”, per usare una parola che a Pettigo ben conoscono.