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 2017  dicembre 01 Venerdì calendario

«Vulnerabile e fragile». Jovanotti torna con un album scarno e rock

A un certo punto i muscoli non servono più. Li hai mostrati. Quelli in piazza hanno fatto tre passi indietro. Hanno capito chi sei. O diventi un bullo o usi la forza in un altro modo. «Lorenzo 2015» è stato un album muscolare e ipervitaminico che portava all’estremo il percorso di abbraccio fra Jovanotti e il pop elettronico partito con «Buon sangue» nel 2005 e proseguito con «Safari» e che con «Ora» sembrava un matrimonio indissolubile. «Lorenzo 2015» aveva dentro 30 canzoni, un successo da 7 singoli per le radio e 5 dischi di platino. 
Il nuovo «Oh, vita!» che esce oggi è una brusca rottura di quel percorso. Punto e a capo. («Ho chiuso un ciclo di lavoro durato 10 anni. Se avessi avuto una band l’avrei sciolta. Non si torna indietro. Avevo bisogno di rimettermi in gioco e in pericolo. Sono ripartito da zero, senza l’aspettativa di fare il botto. Il botto l’ho già fatto 20 volte. Volevo fare un’esperienza e imparare»).
È arrivato Rick Rubin. Il guru mondiale della produzione, pionieri dell’hip hop con Beastie Boys e Run Dmc e poi re Mida con i successi di Eminem, Metallica, Red Hot Chili Peppers e la resurrezione di Johnny Cash nel curriculum. Guru anche nell’aspetto. Barba da santone, piedi nudi e posizione del loto sull’immancabile divano che deve esserci quando lui è in studio. E che è stato trasportato anche nella villa alle porte di Firenze dove in agosto è nato il progetto. Rubin lo ha messo a nudo. La voce di Lorenzo in primo piano, appoggiata alle chitarre acustiche e poco più. È così per due terzi delle canzoni. Niente basso e batteria. Non c’è nascondiglio elettronico. Si sente quando prende il fiato e quando apre le labbra. E anche tutte le insicurezze e imprecisioni. Siamo nella terra del cantautorato. L’amore «romantico fino alla noia» di «Chiaro di luna», l’introspezione di «Navigare», la delicatezza perfetta dei ricordi di «Ragazzini per strada». («Rubin cerca di ottenere il massimo con il minimo. Non è minimalismo ma significa dare più spazio ai singoli elementi. È un lavoro scarno e io sono lì, vulnerabile e fragile»). 
L’altra anima del disco è il ritmo che si libera negli altri pezzi come il rap di «Oh, vita!», l’elettronica in levare di «Sbam!», il beat di «Le canzoni» che racconta quanto «non devono essere belle ma far ballare», la batteria afro di Tony Allen per «In Italia». («Rick non pensa di costruire architetture ma cerca di cogliere la performance, il gesto artistico. Mi ha detto: questo non è showbusiness, ma arte e allora lavoriamo fregandocene delle hit ma facendo qualcosa che piaccia a tua moglie e a tua figlia»). 
Nella parole non c’è solo l’amore. Si parla di migranti con un drammatico racconto in prima persona in «Affermativo». «In Italia» è jovanottiana nel gioco degli opposti, la Chiesa e il sesso, i grandi dell’arte e «le merde che bloccano: i cambiamenti». («È un pezzo polemico e amaro. L’Italia è come la famiglia: le vuoi bene ma a volte critichi i genitori. Mi piace l’idea di un Paese che cambia, vorrei vedere più coraggio verso il cambiamento»). Il contrasto muove anche «La libertà», giocosa nei suoni ma profonda. («Ogni generazione deve dare senso alle parole importanti del vocabolario che altrimenti rischiano di svuotarsi. La libertà ha fatto il giro: dalla rivoluzione francese ai partigiani a Berlusconi. In questo momento ha perso valore politico ma resta centrale in un mondo in cui l’autoritarismo si cela dietro forme raffinate e sfuggenti»). Nudo o vestito, Jova non può esistere senza palco. Il 12 febbraio a Milano parte il tour con un’infilata record di 10 date al Forum. E il cambiamento si sentirà anche dal vivo. («Stiamo rivedendo il repertorio in maniera scarna e rock, non nel senso dei suoni ma in senso filosofico»). 
L’investimento emotivo è stato forte. Se non hai muscoli, o sei hai deciso di non usarli, non ti resta che esplorare quello che hai dentro. Senza protezione. E allora ci stanno gli occhi lucidi di qualche settimana fa quando nello studio di Pino Pischetola, il suo fonico, ha visto per la prima volta il videoclip di «Oh, vita!». E allora ci sta anche la voce rotta alle prime battute della presentazione di ieri nel temporary shop fra i grattacieli di piazza Gae Aulenti a Milano. Se l’album è minimo, il progetto è extralarge. C’è il negozio, appunto, che ospiterà presentazioni di libri e musica dal vivo. C’è Sbam! rivista che è in parte diario di lavorazione del disco e in parte antologia di contributi di scrittori come Zadie Smith e Dave Eggers e personaggi fra cui il velista Giovanni Soldini o il collega Vasco Brondi. E c’è anche il documentario sulla nascita dell’album, che sarà in 45 cinema il 10 dicembre. («Però il cuore, la cosa importante, sono le canzoni. Il resto sono diramazioni»).