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 2017  dicembre 01 Venerdì calendario

Vicenza o no, il crac di Etruria era già segnato

Quando l’11 febbraio 2015 viene commissariata Banca Etruria, della quale suo padre era stato vicepresidente, Maria Elena Boschi commenta in un tweet: «Dura lex, sed lex». Come spiega l’allora ministro delle Riforme, quel giorno è «il governo su proposta della Banca d’Italia» a decidere di mandare due commissari a interrompere il consiglio dell’istituto aretino che sta chiudendo i conti del 2014. Lo stato del bilancio spiega l’intervento che Boschi stessa sembra ritenere inevitabile: rosso per 140 milioni, «gravi perdite sul patrimonio», «consistenti rettifiche sul portafoglio crediti». Alcuni ad Arezzo e dintorni, fino a poco prima, devono aver sperato in una fine diversa. Giusto due settimane prima, il 20 gennaio 2015, il governo aveva annunciato che le banche popolari con attivi superiori a otto miliardi di euro si sarebbero trasformate in società per azioni. La soglia degli otto miliardi è importante: fa sì che vengano interessate solo dieci delle 70 banche popolari d’Italia e Etruria rientra non come ultimo ma come penultimo degli istituti coinvolti (Popolare di Bari chiude la serie). Quella riforma fa balenare la possibilità che alcune banche risolvano i loro problemi con l’apporto di capitali freschi dall’esterno e il mercato reagisce con euforia: il titolo dell’Etruria esplode del 62% dopo l’annuncio della riforma (ma aveva iniziato a decollare due giorni prima, quasi che qualcuno sapesse già). Un balzo simile la banca di Arezzo l’aveva fatto in realtà anche a maggio del 2014, quando la Popolare di Vicenza aveva fatto sapere che sarebbe stata disposta a un’offerta a condizione di conquistare quasi tutto il capitale. I manager e i soci di Etruria non accettano e quella resterà l’unica manifesta- zione d’interesse. Da allora neanche la prospettiva di una metamorfosi in società per azioni avrebbe stimolato altri potenziali compratori. Ora Roberto Rossi, procuratore di Arezzo ed ex consulente (remunerato) di Palazzo Chigi durante il governo di Matteo Renzi e di Boschi, sostiene che Banca d’Italia avrebbe incoraggiato Vicenza a farsi avanti per Etruria; l’istituto centrale smentisce. Chiunque dica il vero, per il destino di Etru- ria è irrilevante. La banca era comunque alle corde e nessuno la voleva comprare perché era l’equivalente finanziario di un morto che cammina. Dura lex, sed lex.