la Repubblica, 30 novembre 2017
Il calcio al Cremlino. L’operazione di Putin per l’immagine russa
Gli artisti ripetono ancora una volta i passi sullo sfondo di una scenografia rossoblù, i colori della bandiera russa. La presentatrice Maria Komandnaya e l’ex calciatore Gary Lineker pescano nelle urne: il Perù finisce nello stesso gruppo della nazionale ospite. È solo la prova generale del sorteggio che domani deciderà i gironi dei Mondiali di Russia 2018 e che avrà, non a caso, come palcoscenico il Cremlino.
Da quando è al potere, Vladimir Putin ha scommesso molto sullo sport. In parte perché, a dispetto dei suoi 65 anni, ama incarnare l’ideale dell’“action man” facendosi immortalare in casacca da judo, in tuta da sub, alla guida di un bolide da Formula 1 o di un deltaplano. Ma soprattutto perché considera lo sport uno strumento ideologico essenziale per presentare la Russia come una rinata Grande Potenza. È merito suo se, dopo le Olimpiadi invernali 2014, la Russia si è aggiudicata anche i Mondiali di calcio 2018, i primi nell’Est dell’Europa.
Lo sport alza il morale e aumenta il patriottismo. Crea quello che Oleg Shamonaev del quotidiano sportivo moscovita “Sport Express”, chiama “effetto meteorite”: unisce il Paese. E arricchisce gli amici. Se i Giochi invernali di Sochi furono i più costosi della storia, il governo russo finora ha stanziato circa 9,6 miliardi di euro per costruire le infrastrutture della Coppa su un’area che si estende lungo tre fusi orari dal Baltico agli Urali. Poco importa che solo sei delle undici città ospiti abbiano una squadra in serie A e che molti stadi, terminato il torneo, diverranno delle vere e proprie cattedrali nel deserto.
Al momento, però, appena cinque dei dodici stadi che ospiteranno la competizione sono funzionanti. Mosca assicura che saranno tutti ultimati prima della scadenza fissata al 31 dicembre, anche a costo di qualche soluzione fantasiosa. Alla Ekaterinburg Arena, ad esempio, sono state aggiunte due tribune provvisorie esterne per rispondere ai requisiti Fifa di 45mila posti a sedere. Uno stratagemma già battezzato “metodo Lego”.
Ai Mondiali di calcio Putin vuole sfoggiare le sue credenziali da “tutore dell’ordine” dimostrando che ha ripulito gli stadi dagli ultras che guastarono gli Europei 2016 a Marsiglia. E, dopo l’attentato dello scorso aprile a San Pietroburgo, ha anche predisposto misure di sicurezza straordinarie: dalla limitazione dell’uso dello spazio aereo e delle vie navigabili alla restrizione delle autorizzazioni per cortei e comizi.
Restano però sfide irrisolte. Il razzismo, innanzitutto. Tanto che, per la prima volta nella storia, gli arbitri potranno interrompere o sospendere una partita in caso di manifestazioni d’intolleranza dalle tribune. Il rischio c’è. Nel 2011 il brasiliano Roberto Carlos abbandonò il campo dopo che gli venne lanciata una banana dai tifosi di Samara, mentre nel 2013 il Manchester City si lamentò quando Yaya Touré venne apostrofato con versi da scimmia durante la partita di Champions League contro il Cska Mosca.
C’è poi un problema di credibilità. Negli ultimi anni guerra in Ucraina, sanzioni e controsanzioni, crisi economica, scandalo doping alle Olimpiadi e accuse di corruzione dietro l’assegnazione del 2010, Russiagate negli Stati Uniti e presunte interferenze nelle elezioni europee, hanno dato un duro colpo all’immagine del Paese. Ma, in vista delle presidenziali di marzo a cui quasi certamente parteciperà, la principale platea di Putin saranno i russi, non gli stranieri. Come ha detto Manuel Veth, direttore di “Futbolgrad”, «i Mondiali servono a dire alla popolazione: “Guardate quanto siamo grandi”».