la Repubblica, 30 novembre 2017
Nella testa di Kim Jong-un un sacro culto nazionalista
L’assurdità della dittatura nordcoreana potrebbe essere paragonata a una battuta di cattivo gusto. Lo stesso Kim Jong-un, con l’acconciatura anni Trenta che ricorda una ciotola da budino (e che pare sia voluta per farlo assomigliare al nonno), la tenuta antidiluviana alla Mao e il corpo basso e grassottello, ricorda un personaggio dei cartoni animati.Che sia adorato come una divinità, sia considerato un genio qualsiasi cosa faccia e sia circondato da persone (comprese le più alte cariche dell’esercito) che ridono, applaudono o urlano istericamente conferisce al suo regime un che di decisamente bislacco, oltre che sinistro. La vita nella Corea del nord non è affatto divertente: la popolazione è devastata dalle carestie, la libertà di espressione non esiste e i campi di lavoro ospitano sino a 200mila prigionieri politici che vivono in condizioni di schiavitù e possono dirsi fortunati quando non sono torturati a morte. Nutrire il minimo dubbio sullo stato divino di Kim è vietato, e se si tiene alla propria pelle occorre manifestare nei suoi riguardi una costante ed esplicita devozione.È possibile, o addirittura probabile, che molti nordcoreani ostentino un comportamento adorante solo per dovere. Altri si adeguano perché non sanno quale altro comportamento adottare, e si adattano alle regole del mondo che li circonda senza porsi troppe domande. Magari alcuni, forse molti, credono al culto della dinastia dei Kim – che come tutti i culti e le credenze religiose è costituita da elementi e spunti presi da altre culture e tradizioni.Il culto di Kim infatti deve molto allo stalinismo e qualcosa al Cristianesimo messianico, si ispira in parte alla pratica dell’adorazione degli antenati praticata nel Confucianesimo, in parte allo sciamanismo autoctono e in parte alla venerazione della figura dell’imperatore presa in prestito dai giapponesi, che governarono la Corea nella prima metà del XX secolo.Secondo la leggenda il padre di Kim, Kim Jong-il, nacque sul monte Paektu, luogo considerato sacro dove più di 4mila anni prima era venuto alla luce Tangum: una creatura metà uomo metà orso considerato il divino fondatore del primo regno coreano. Alla nascita di Kim Jong-il, noto anche come “il caro leader” (suo padre Kim Il-song era “il grande leader”), l’inverno lasciò subito il passo alla primavera e il paradiso fu rischiarato dall’apparizione di una stella. Tutto questo potrebbe sembrare bizzarro – ma le storie dei miracoli, a qualsiasi fede appartengano, sembrano sempre piuttosto bizzarre. Ciò che conta è che le persone ci credono. E i credenti nordcoreani non sono più strani dei credenti di altre parti del mondo. Alcune credenze esercitano un forte richiamo per dei motivi ottimi: l’Islam e il Cristianesimo, che proclamavano l’uguaglianza agli occhi di Dio, non dovettero sforzarsi molto perraccogliere adepti tra gli emarginati e gli oppressi. La fede nordcoreana, decisamente meno inclusiva, si basa su un senso di purezza etnica e di sacro nazionalismo che occorre difendere dalle forze ostili.La Corea è stata dominata da potenze più forti. Prima tra tutte la Cina, ma anche la Russia e, dopo le violente invasioni del XVI secolo, il Giappone. Gli americani sono arrivati per ultimi e l’odio che la Corea del nord prova nei confronti dell’imperialismo americano non è solo un retaggio della guerra di Corea ma si fonda sul ricordo della lunga oppressione straniera.In Corea la dominazione da parte delle potenze esterne ha favorito l’insorgere di due tendenze contrapposte: resistenza e collaborazione. Nel tempo, durante i vari regni coreani, le classi dirigenti in alcuni casi hanno collaborato con le potenze straniere e in altri hanno opposto resistenza. Tale atteggiamento ha prodotto tra gli stessi coreani spaccature profonde.Inizialmente Kim Il-sung era un collaborazionista, scelto da Stalin per essere il leader fantoccio del Nord comunista. Da qui è nata la leggenda secondo cui Kim sarebbe stato un eroe della resistenza contro i giapponesi durante la Seconda guerra mondiale e, più tardi (e cosa ben più importante), contro gli americani e i loro “collaboratori” sudcoreani. Il nazionalismo nordcoreano – con il suo culto dello Juche, o autosufficienza – è tanto religioso quanto politico. La difesa della dinastia dei Kim, costruita come simbolo della resistenza coreana contro le potenze straniere, è considerata un compito sacro. E quando il sacro si insinua nella politica i compromessi diventano quasi impossibili. Se di fronte a dei semplici interessi la gente può essere disposta a trattare, quando si tratta di faccende considerate sacre tutto cambia. Donald Trump, di mestiere immobiliarista, è convinto che si possa negoziare su tutto. Se si tratta di business non c’è nulla di sacro e concludere un affare, secondo lui, significa avere la meglio ricorrendo anche al bluff.Ecco perché ha promesso di «distruggere completamente la Corea del nord» (una promessa che peraltro si tradurrebbe nell’uccisione di più di 20 milioni di persone). È difficile immaginare in che modo simili sbruffonerie potrebbero persuadere Kim Jong-un a cedere e scendere a negoziati. Kim preferirebbe forse essere annientato anziché cedere.Non sarebbe la prima volta che un culto finisce per votarsi al suicidio. C’è un altro rischio più verosimile. Alle ostili spacconate di Trump sono solitamente seguite affermazioni più caute dei membri del suo gabinetto, dunque Kim potrebbe non prenderle sul serio e pensare che Trump non passerebbe mai alle vie di fatto.Ciò potrebbe indurlo a compiere un gesto incauto – come puntare un missile su Guam – che indurrebbe gli Usa a reagire. Il risultato sarebbe una catastrofe.(Traduzione di Marzia Porta)