Corriere della Sera, 29 novembre 2017
«Quota 40% è vicina». Imprenditori e burocrati in fila dal centrodestra
ROMA «Un anno fa avevamo difficoltà a metter su una cena con dei professionisti. Adesso, per venire ai colloqui col presidente c’è una fila che non finisce mai», ripete spesso ai colleghi di partito Andrea Mandelli, uno dei parlamentari di Forza Italia che segue da vicino la ricerca dei volti nuovi. Ed è niente rispetto a quello che racconta agli amici l’ex ministro Gaetano Quagliariello, che sta lavorando alla costruzione di una federazione di sigle che saranno in coalizione col centrodestra: «Una mattina il telefono ha cominciato a squillare all’alba e da quel momento non ha più smesso. Non facevo a tempo a vedere una telefonata che ne arrivavano delle altre. All’inizio non avevo capito. Poi ho letto che era uscita la notizia che stavamo lavorando alla lista alleata con Berlusconi».
Diciotto mesi fa, dopo l’intervento al cuore, Silvio Berlusconi faceva i conti con quello che accadeva fuori dalla porta della sua stanza al San Raffaele. La popolarità in discesa, il partito a pezzi, alcuni dirigenti e peones che tentavano di guadagnare la via di fuga dall’orbita di Arcore strizzando l’occhio ora a Salvini ora ai fuoriusciti come Alfano o Fitto. Un anno e mezzo dopo, con la «quota 40» del centrodestra praticamente a un passo, l’ex premier si muove come il «vincitore percepito» delle prossime elezioni. Anzi, sta fermo. Perché sono gli altri a muoversi verso di lui.
L’ultima rilevazione di Alessandra Ghisleri, sfornata lunedì, assegna al blocco «FI-Lega-FdI e altri» il 38,1 per cento dei voti. «E ancora non siamo in campagna elettorale, dove com’è noto guadagno sempre dei voti», sorride Berlusconi. La «quota 40» è lì, a meno di due punti. Col 42 ben distribuito sul territorio nazionale, almeno questo dicono le proiezioni riservate, ci sarebbe la maggioranza alla Camera e al Senato. Tanto basta perché il fuggi fuggi abbia inizio.
E così una settimana fa, ai piani alti di Montecitorio, alcuni funzionari vicini al Pd si lamentavano del fatto «che la corsa della burocrazia ad accreditarsi o a riaccreditarsi con FI è una cosa che a raccontarla non ci si crederebbe». Un ex ministro di Berlusconi, che preferisce rimanere anonimo, riferisce di analoghi movimenti in corso «nella pancia dei ministeri che contano così come, tanto per dirne una, in Cassa depositi e prestiti…». Se alcuni ambienti finanziari internazionali guardano al centrodestra con una certa dose di sospetto – al punto da spingere Matteo Salvini a immaginare una «risalita dello spread nel caso in cui diventassi premier», visto che in pancia hanno titoli italiani «che potrebbero vendere immediatamente» – l’italica burocrazia silenziosa sembra aver capito l’orizzonte a cui guardare. E quell’orizzonte, al momento, è di nuovo Berlusconi.
Di sussurro in sussurro, di sondaggio in sondaggio, il salotto di Arcore è tornato a essere un centro di gravità permanente. Qualche settimana fa, a parlare di imprenditoria e di futuro del Paese, a Villa San Martino ha fatto capolino il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia. Carlo Sangalli, numero uno di Confcommercio, non ha mai smesso di frequentare la casa, visto che dell’ex premier è amico personale da secoli. E tutto questo, ragionano nella cerchia ristretta di Berlusconi, «è soltanto l’antipasto». Una manciata di punti percentuali, con molto tempo a disposizione davanti, «e il gioco di tornare a Palazzo Chigi sarà fatto. Con quale premier, be’, è quasi secondario».