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 2017  novembre 28 Martedì calendario

La maledizione del clan Hariri: padri-padroni in ostaggio di Allah

I manifesti con il volto di Saad Hariri, 45 anni, il primo ministro tornato nella Capitale libanese il 22 novembre, giorno dell’Indipendenza, dopo aver rassegnato le proprie dimissioni agli inizi del mese con un annuncio dall’Arabia Saudita – per alcuni ci sarebbe stato lo zampino del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman – punteggiano la strada che va dall’aeroporto intitolato al padre assassinato, Rafiq Hariri, fino alla moschea sunnita da lui fatta costruire e dove ora è seppellito. Il volto di Saad, che ha sospeso le proprie dimissioni dopo una riunione con il presidente cristiano Michel Aoun (che domani sarà in Italia, ndr), alleato del partito armato sciita Hezbollah, accompagna però anche chi sta per lasciare la città; non è detto che Saad non riprenderà la stessa strada fra una decina di giorni quando avrà finito le consultazioni con gli alleati del debole fronte sunnita e Hezbollah, longa manus dell’Iran, il vero dominus della politica libanese.
Come fare pulizia in casa
Quando nel 2005, due anni prima di essere assassinata, la ex premier pachistana musulmana sunnita, Benazir Bhutto, commentò il devastante attentato dinamitardo appena costato la vita al primo ministro libanese Rafiq Hariri, disse: “È troppo comodo attribuire in automatismo la colpa ai jihadisti di al Qaeda. Prima di emettere sentenze bisognerebbe far pulizia in casa, anziché, regolarmente, accusare lo sceicco del terrore (Bin Laden) col solo risultato di cacciare l’immondizia sotto il tappeto”. Fare pulizia nella mente di un esponente del mondo islamico sunnita, allora come oggi, significa bloccare la crescita dell’influenza sciita iraniana e dei suoi affiliati, tra cui il partito armato libanese Hezbollah, la formazione politica che oggi guida di fatto il paese dei Cedri e i cui paramilitari hanno contribuito alla tenuta del regime di Bashar al Assad nella vicina Siria.
La “pulizia” non era stata portata a termine nemmeno dalla “Rivoluzione dei Cedri”, scoppiata subito dopo, anche a causa dello spietato omicidio del premier-magnate, nonostante i sospetti su mandanti e esecutori dell’esplosione che ridusse in polvere Hariri e la sua scorta, assieme ad alcuni passanti, in tutto 22 persone, fossero caduti sul presidente siriano.
Beirut, per vent’anni sotto i riflettori dei media internazionali per colpa della guerra civile, dall’ultimo scontro con Israele acceso da Hezbollah nel 2006, era di fatto scomparsa dai radar lasciando spazio al regime siriano. Salvato dall’intervento dei paramilitari di Hezbollah e dalla Russia di Putin, il regime alawita (culto di lontana derivazione sciita) di Assad ora affronterà il processo di transizione orchestrato da Mosca, dall’Iran e dalla Turchia, trascinandosi dietro il Libano e Saad Hariri.
Partita a scacchi in Siria
Figlio di Rafiq, già premier dal 2009 al gennaio 2011, quando venne fatto cadere dal patto stretto dall’allora generale Aoun con Hezbollah, Saad era tornato sulla stessa poltrona il 18 dicembre 2016, periodo in cui avrebbe cercato di bloccare il coinvolgimento del proprio paese nel conflitto siriano a causa della presenza massiccia di Hezbollah finanziando una milizia sunnita sempre in Siria.
Come ha affermato in una intervista alla Bbc l’ex primo ministro del Qatar, lo sceicco Hamad bib Souleiman, Saad Hariri, attraverso la Turchia, ha foraggiato militanti armati con la collaborazione di Usa, Giordania, Emirati e Arabia Saudita.
Il malcontento dei sauditi
Saad Hariri, anche dopo essere stato incaricato l’ultima volta alla presidenza del Consiglio in seguito al compromesso sull’elezione di Aoun a presidente della Repubblica per volere di Hezbollah, avrebbe quindi provato a contrastare lo stesso Hezbollah in Siria. Avrebbe potuto fare di piu? Secondo il nuovo corso saudita di Mohammed bin Salman, sì. Per questo lo ha chiamato e messo agli arresti domiciliari nella capitale saudita Riyadh costringendolo alle dimissioni.
Sia Rafiq Hariri, sia il figlio Saad, così come tutta la dinastia Hariri, hanno anche la nazionalità saudita. Ma nel paese sunnita wahabita sede della Mecca, non sono mai stati semplici cittadini. A Ryad alla fine degli anni ’70, Rafiq era entrato dal portone principale, quello reale, grazie alla protezione del monarca di allora. Dopo aver fondato l’impresa di costruzione Oger, era diventato il cavallo da corsa saudita nell’agone politico libanese.
Con il suo assassinio sembrava che la società avesse trovato la forza di reagire all’oppressore, e così in parte è stato. Ora Saad non ha molte chance di rimanere al governo, a meno che l’Arabia Saudita si accontenti di una ritirata di Hezbollah dallo Yemen e dalla Siria. Intanto il rampollo Hariri una cosa la sa di sicuro.
Qualora rimanesse primo ministro con il beneplacito di Hezbollah, la società fondata dal padre, diventata nei decenni un gigante delle costruzioni, dovrà dichiarare bancarotta perché non verrà più salvata dai petrodollari dei reali sauditi. Ad agosto ha chiuso i battenti dopo 39 anni.