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 2017  novembre 27 Lunedì calendario

Da Aldi a Bezos, così cambia lo scaffale

Amazon ha comprato il gioiello dei supermercati biologi Whole Food, in settimana il colosso cinese dell’e-commerce Alibaba ha puntato 3 miliardi di dollari diventando socio di Auchan in Cina. Il modello internet migra sui negozi fisici, anche perché con pochissime eccezioni, i supermercati fanno fatica a sostenere i costi di una logistica efficiente sull’online. Se a questo si aggiunge il successo travolgente dei discount, unica formula della grande distribuzione che è in costante crescita in tutto il mondo e a prescindere dall’andamento economico dei singoli Paesi, ecco che il supermercato come l’abbiamo sempre conosciuto è un dinosauro che nei prossimi anni è destinato ad evolversi. «Questa è un’industria fortemente minacciata da due realtà come l’e-commerce e il discount che continuano a guadagnare quote di mercato – spiega Luigi Consiglio di Gea – è vero che la grande distribuzione, con qualche rara eccezione, è 50 anni che non innova la sua formula e che gli scaffali dei supermercati sono sempre uguali. Nessuna industria dopo 50 anni senza investimenti e innovazione è sopravvissuta». Certo i supermercati hanno iniziato a offrire nuovi servizi, come la lavanderia o la stampa delle foto, ma questo non basta a compensare l’erosione di margini e ricavi. Anche perché l’online, che tanto fa male alla Gdo (grande distribuzione organizzata), non pare scalfire i discount che lavorando soprattutto sulle marche proprie, sono meno attaccabili dagli sconti sui brand fatti dai rivenditori del web. «Il discount ha lavorato molto su un’offerta fatta al 70% di marca privata di qualità, contro un 20% della Gdo tradizionale – spiega Marco Grieco di EY- le realtà online, ancora non hanno la forza di strutturarsi per la private label». Lidl da anni è il più grande investitore pubblicitario in Italia, e così facendo ha affermato il proprio marchio, anche sui nuovi media digitali. «Per intercettare nuovi clienti giovani – prosegue Grieco – i discount hanno puntato molto sul digitale». Fatto sta che gli esperti quest’anno si aspettano che la formula discount registri in media una crescita del fatturato del 7,5% contro il 2% atteso per la Gdo tradizionale, numeri che si raffrontano con il +4% del 2016 e con il +1,6% dei supermercati tradizionali. Quanto all’online, la convenienza della logistica, rende i venditori del web molto più aggressivi sui prezzi e quindi seducenti per i consumatori. «La logistica messa in piedi dai grandi player dell’e-commerce o gli aggregatori – prosegue Consiglio – permette di avere dei costi bassi e un servizio porta a porta eccellente, che per la Gdo tradizionale è costosissimo da replicare». La teoria della «long tail» ( coda lunga, ndr ) rende vincente il modello web. Amazon può avere in assortimento tutte le gamme di tutti i produttori, il supermercato no, quindi il web oltre al prezzo offre anche una scelta maggiore. «Si riduce tutto a uno sporco lavoro di magazzino – precisa l’esperto di Gea dove la scala fa una differenza enorme e avere la scala di Amazon è impossibile. Questo ha già costretto intere industrie retail, come i giochi, i libri e così via, a rivedere le proprie strategie». Nei paesi anglosassoni, dove la Gdo tradizionale è già in ginocchio da anni, sta anche prendendo piede la possibilità che il produttore di beni di largo consumo, come ad esempio Procter& Gamble, possa vendere online direttamente al consumatore, saltando il supermercato per consegnare lo shampoo, le lamette e i pannolini direttamente a casa dei clienti. Tutte formule che vanno comprimendo i margini del supermercato, imponendogli di investire nella logistica dell’e-commerce. «Mi aspetto che per continuare a tagliare i costi spiega Grieco – ci sia un progressivo e graduale consolidamento delle insegne». Intanto Aldi è sbarcata in Veneto con una maxi sede – e tutti si aspettano che prima o poi rilevi anche delle insegne – mentre Conad si è comprata Billa. C’è di buono che se la Gdo italiana soffre per la concorrenza di online e discount stranieri, l’industria agroalimentare tricolore continua a proliferare. «Con 4,24 miliardi di esportazioni gli Usa sono il terzo mercato di sbocco dell’agroalimentare dopo Francia (4,66 miliardi) e Germania (7,45 miliardi) – osserva Consiglio – vendiamo i prodotti tipici della dieta mediterranea come olio, aceto, vino, pasta, formaggi, acque minerali. E ora molte industrie italiane d’eccellenza, per meglio servire i 320 milioni di americani, sono andate a produrre in loco». Chissà se dopo aver esportato i nostri prodotti, qualcuno esporterà anche il nostro modo di vederli nel supermercato, piuttosto che comprarsi qualcuna delle insegne italiane che fatica a stare al passo coi tempi.