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 2017  novembre 27 Lunedì calendario

È nata un’asset class ma la vera rivoluzione è quella del blockchain

La crescita esplosiva delle quotazioni del Bitcoin ha avuto il merito di sollevare l’attenzione sulla rivoluzione della blockchain, destinata ad avere sul sistema finanziario un impatto paragonabile a quello dei social network sulle relazioni interpersonali. Non passa giorno senza che una banca o un hedge fund annunci l’interesse nei confronti di quella che appare a tutti gli effetti una nuova asset class. Nelle prossime settimane la Borsa di Chicago lancerà un futures sui Bitcoin per rispondere alla domanda degli investitori di disporre di strumenti efficaci per gestirne la volatilità. Con una capitalizzazione che pochi giorni fa ha passato la barriera dei 200 miliardi di dollari, molti osservatori hanno iniziato a chiedersi se in un futuro non molto distante le criptovalute possano soppiantare l’oro come riserva di valore. O sostituirsi al dollaro e alle monete tradizionali come strumento di pagamento per l’ecosistema digitale. La tentazione di lasciarsi sedurre da visioni futuristiche sull’ampiezza e la rapidità con cui la rivoluzione tecnologica potrà affermarsi è forte. Ma è bene riflettere su alcuni fattori che possono frenare la corsa delle criptovalute, limitazioni tecniche e carenze di natura istituzionale nella governance dei processi evolutivi della tecnologia. Nulla a che vedere con gli episodi di cronaca finanziaria a cui le criptovlaute sono associate, come riciclaggio, esportazione illegale di capitali, il sempreverde rischio di schema Ponzi implicito in parecchi Ico. La cattiva fama non ha mai danneggiato la capacità di una moneta di affermarsi come lingua franca delle transazioni commerciali.
I latini dicevano pecunia non olet. Più recentemente, l’economista americano Barry Eichengreen per rinforzare il concetto della preminenza raggiunta dal dollaro nel sistema monetario internazionale ricorre all’immagine cinematografica della valigetta piena di dollari. Il pagamento di un riscatto, la corruzione di un dittatore, l’acquisto di una partita di droga non avrebbero alcuna credibilità nei confronti dello spettatore se il regista non inquadrasse almeno una volta la “valigetta”. Il dollaro continua ad esercitare quello che il Generale De Gaulle definiva un exorbitant privilege. Ancora per parecchi anni, la blockchain non è in grado di gestire l’elevato numero di transazioni generato da una borsa valori o un circuito di carte di credito. C’è poi il problema dell’ hard fork, biforcazione, che incide sulla promessa di prevedibile immutabilità dell’algoritmo matematico che regola l’offerta di cripto-valuta. È successo parecchie volte con il Bitcoin, l’ultima poche settimane fa con la nascita del Bitcoin Gold. Se usiamo la metafora dell’albero, con l’hard fork si crea un nuovo ramo sul tronco di una blockchain esistente. La vecchia e la nuova blockchain coesisteranno a partire dall’innesto come rami di uno stesso tronco. E toccherà alle forze di mercato stabilire quale ramo avrà successo. Oppure se periranno entrambi perché l’eccesso di biforcazioni ha spinto gli utenti a spostarsi su un’altra blockchain, più stabile. Il risultato dell’ hard fork è un’espansione monetaria non decisa da una banca centrale ma autogestita con il metodo del consenso. Talvolta, gli hard fork sono necessari per correggere errori come accade nelle blockchain più evolute. Da qui un elemento tecnico di criticità, forse il più pericoloso: quanto più complesse sono le tipologie contrattuali che è possibile programmare nella blockchain, tanto maggiore diventa la possibilità di un errore nel codice. Il caso più eclatante è stato quello del Dao, un’iniziativa che nel 2016 ha raccolto quasi 120 milioni di dollari attraverso uno degli Ico di maggior successo della storia delle blockchain. Peccato che il Dao presentava una vulnerabilità, individuata da un hacker subito dopo l’Ico. Per correggere l’errore e consentire ai sottoscrittori di recuperare i crediti rubati, la comunità di Ethereum ha dovuto programmare un hard fork predatato rispetto all’Ico. Con gli hard fork si comprende come immutabilità e decentralizzazione costituiscano al tempo stesso il punto di forza e il punto di debolezza della tecnologia blockchain. Quello che viene scritto all’interno della blockchain è per sempre. Non esiste un ente a cui rivolgersi per cancellare il singolo errore. Solo la comunità può farlo con il meccanismo del consenso, ma ad un prezzo altissimo. Quello di portare indietro le lancette del tempo, dimenticando le transazioni lecitamente registrate sulla blockchain.