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 2017  novembre 28 Martedì calendario

«Ricattata dopo il video hard». Barista suicida, tre indagati

PORTO TORRES Alla fine il video hard è saltato fuori e ora è chiaro perché Michela si è uccisa: le immagini cominciavano a girare e lei aveva paura, era già sotto ricatto. Il «giallo» della barista non è risolto, ma c’è una pista e tre «amici» di Michela Deriu, che a 22 anni si è strangolata con un laccio, sono indagati: istigazione al suicidio, tentata estorsione e diffamazione aggravata. Il video è stato trovato anche nel computer di uno degli indagati. 
Disperata, Michela era fuggita da Porto Torres. «Puoi ospitarmi per qualche giorno?» aveva chiesto a un’amica. Ed era precipitosamente partita per la Maddalena. Ma i tre hanno continuato a tempestarla, telefonate e messaggi. E la notte fra il 4 e il 5 novembre è crollata. Prima di uccidersi ha scritto due biglietti. All’amica: «Scusami, ma a Porto Torres non sarei riuscita a farlo». In un altro foglio, strappato e appallottolato, una frase che ha subito fatto pensare a un suicidio anomalo: «...sono riaffiorati quegli scheletri di due anni fa...». È stata Michela con quel riferimento a indicare la pista del ricatto a sfondo sessuale.
Michela Deriu era una ragazza libera e orgogliosa di esserlo. A quali scheletri si riferiva? I carabinieri e la Procura di Tempio Pausania (Gianluigi Dettori è il magistrato titolare dell’inchiesta) hanno trovato le prime tracce nel telefono cellulare di Michela, contatti sospetti con alcuni coetanei, sempre più frequenti nelle ultime settimane. Infine il video: lei con più persone, qualcuno che riprendeva, voci fuori campo, forse di altri presenti. Il video a luci rosse – trapela da un’indiscrezione che non ha trovato conferme – potrebbe avere un riferimento: un viaggio. E Michelaqualche mese fa è stata in Irlanda. 
È rimasto per qualche tempo riservato, poi è cominciato a girare fra gli amici degli amici. Non lo hanno visto molte persone; ricatto in corso ma non ancora «consumato», tant’è che i tre sono indagati per tentata estorsione. Il video è stato infine ritrovato, era fra i file di un computer e nella galleria di immagini di alcuni telefonini. Ma da sequestri e perquisizioni in queste ore si attendono altri riscontri. 
Questa storiaccia, finita in tragedia, è partita da una strano agguato e da un titolo sul quotidiano La Nuova Sardegna : «Barista narcotizzata e rapinata». La notte dell’1 novembre Michela dopo il lavoro è rientrata a casa tardissimo; qualcuno l’ha seguita, l’ha aggredita mentre apriva il portone e l’ha stordita spruzzandole gas da una bomboletta. «Quando mi sono risvegliata non c’era più il borsellino con i soldi, avevo 1.100 euro». Michela ha riferito l’agguato agli amici del bar, ma non ha fatto denuncia. Leggendo l’articolo i carabinieri l’hanno convocata in caserma e lei ha confermato. Ma sembrava riluttante e timorosa.
Qualche giorno dopo ha ritirato la paga al bar ed è sparita: «È meglio che per un po’ di tempo cambi aria». Si fidava di una collega che aveva lavorato con lei a Porto Torres. «Posso venire alla Maddalena?», le aveva telefonato. Aveva preso l’autobus e poi il traghetto. Lontana più di cento chilometri e con di mezzo il mare forse pensava di essere al sicuro. Era arrivata da un giorno, aveva nella borsa qualche vestito e i biglietti del viaggio di ritorno – difficile pensare che avesse deciso di uccidersi – per un paese della provincia di Sassari: «Vado da mia sorella». Ma l’hanno tormentata anche sull’isola. 
L’amica l’ha lasciata sola in casa. «Ho il turno di sera, rientrerò tardi». Alle 3 di notte l’ha trovata riversa con un laccio al collo e per terra i frammenti del biglietto choc: «Gli scheletri sono riaffiorati».