Libero, 25 novembre 2017
Il Cav non vincerà, ma le sue aziende ridono
Pace in vista tra il gruppo Berlusconi e Vincent Bolloré? A gettare acqua sul fuoco ci ha provato il direttore finanziario di Mediaset, Marco Giordani. «Ancora non c’è nulla ha detto ieri in tarda mattinata si parlano i legali, ma al consiglio non è arrivata alcuna proposta». Le sue parole, però, nel giorno in cui il Cavaliere parlando ai piccoli imprenditori annunciava «una vera rivoluzione liberale», hanno avuto solo l’effetto di far salire la febbre di Piazza Affari dove il titolo del Biscione ha continuato a crescere, fino a sfiorare un rialzo del 5 % sull’onda delle indiscrezioni pubblicate dal Messaggero. In sintesi, nei prossimi giorni potrebbe essere annunciato un accordo commerciale tra Telecom Italia e Mediaset per cui Tim Vision, la società che fa capo alla società italiana e a Vivendi acquisterà contenuti del gruppo Berlusconi per un importo sui 600 milioni di euro spalmati in sei anni. Inoltre, per chiudere le cause in tribunale la stessa Vivendi, citata per 3 miliardi di danni, se la dovrebbe cavare con il versamento, in varie modalità, di altri 700 milioni.
Andrà così? Probabile. Ma sarà solo il primo passo di una lunga marcia. Tanti segnali fanno pensare che la svolta sia vicina. E, soprattutto, che non si limiterà a regolare una lite, seppur miliardaria, da avvocati, bensì a porre le premesse di un’intesa a suo modo epocale, che riguarderà la tv ma anche il futuro delle tlc italiane (ma anche francesi e spagnole) e tutti gli altri media. Oltre, naturalmente, al destino del gruppo Berlusconi. La fase 2, infatti, prevede più di una novità epocale. Decisiva sarà la sorte della rete Telecom. Il nuovo amministratore delegato, Amos Genish, ha aperto alla prospettiva della cessione di quote in quello che resta l’asset strategico dell’ex monopolista. Ma in che modo? E con quali controparti? Una soluzione potrebbe essere la quotazione in Borsa della rete, stimata sui 15 miliardi, ma non sono escluse altre soluzioni di cui il cda di Telecom comincerà a discutere nella riunione del 5 dicembre.
In ogni caso, la fine del monopolio sulla rete rimuoverà una delle cause che rendono impossibili le nozze tra Telecom e Mediaset. L’altra, ovviamente, è il conflitto tra Fininvest e Vivendi, che dovrà ottemperare alle richieste dell’Agcom, che impongono alla società di scendere dall’attuale 28,8% del capitale di Mediaset a non più del 10%. Inizialmente, come già proposto dai francesi, la società di Bolloré dovrebbe cedere la quota eccedente ad un trust, ma non è esclusa una soluzione diversa, in caso di pace, condivisa dalle parti. Quel che è certo è che, ribadito da parte di Fininvest il pieno controllo del cda dopo l’assemblea del 15 dicembre, in cui verranno introdotte clausole anti-scalata, sarà possibile presentarsi in tribunale all’udienza fissata per il giorno 19 con un accordo tra i duellanti che possa metter fine ad una sfida che ha portato danno ad entrambi, sia economico che d’immagine (a Bolloré quantomeno).
A quel punto non ci saranno più ostacoli per riprendere il discorso avviato a suo tempo, con il fidanzamento, poi bruscamente interrotto, tra le due società. Anzi, non mancano le ragioni per consigliare di stringere i tempi. Gli spazi per sostenere il confronto con Rupert Murdoch (che nel frattempo fa cassa in Usa per aumentare la potenza di fuoco) e con Netflix, sempre più aggressiva anche sui mercati europei si restringono. Urgono alleanze a stretto giro. La prima prova del fuoco potrebbe essere l’asta per i diritti tv sulla serie A: Mediaset Premium, dai conti deboli, ha bisogno di alleati. Tim Vision, per ora poco più di un guscio da riempire (i prodotti di Canal Plus non brillano nemmeno in patria), può sperare nel decollo della Netflix latina solo se potrà disporre dei prodotti (italiani e spagnoli) di casa Berlusconi. Di qui le prove di matrimonio commerciale che potrebbero esser seguite da un’integrazione più stretta.
Sia dal punto di vista tecnico che industriale nulla impedisce di prevedere traguardi successivi, vedi un’offerta congiunta del fornitore di servizi con quello dei contenuti. Salvo ostacoli dell’Antitrust, il futuro ci riserverà offerte di contenuto esclusivi (via smartphone ancor più che via tv) da parte di gestori abbinati ad una rete tv. Nello sport come nello spettacolo (a Universal, scuderia Bolloré, fa capo per esempio lo streaming di “Despacito”, il successo dell’estate di Luis Fonsi). Il tutto naturalmente dopo accordi con le varie Apple o Samsung. Una partita complessa che richiederà investimenti sempre più massicci per restare ai vertici all’origine dell’intesa raggiunta prima del voltafaccia di Bolloré. Ma i due contendenti sono condannati a riprovarci e rinchiudersi in uno scenario domestico che non ha molte prospettive. Per questo la Borsa crede che l’accordo finale possa veder la luce prima di del 19 dicembre. Anche se Giordani frena: «La trattativa non mi sembra così calda». O forse lo è troppo per esser bruciata prima del tempo.