la Repubblica, 25 novembre 2017
La pioggia dei bonus, 12,2 miliardi
ROMA Gli ultimi arrivati profumano di battaglie ecologiste, voglia di sport e musica popolare. I bonus del2018, tra vecchi e nuovi, valgono 12,2 miliardi. Ne beneficiano venti milioni di italiani, un terzo della popolazione. E a dispetto dei critici, sono il cuore della politica economica italiana. Almeno dal 2014, dagli 80 euro di Renzi per 12 milioni di lavoratori. Ora allargati ad altri 380 mila dall’esecutivo Gentiloni, allo scadere di legislatura. Si chiude un ciclo politico, non la formula. Difficile per chi verrà dopo cancellare o non prorogare sconti e mancette. Anche se non solo di questo si tratta. Gli 80 euro sono un taglio permanente di tasse, sebbene circoscritto a una fascia di reddito centrale (fmo ai 26.600 euro), lasciando fuori pensionati e poveri incapienti. Gli sgravi per le assunzioni abbattono il costo del lavoro per le imprese. Ma va pure detto che negli ultimi quattro anni i governi Renzi-Gentiloni hanno impegnato 62 miliardi in bonus, di cui 54 miliardi per consumi e lavoro, con risultati in chiaroscuro affidati ora alla propaganda elettorale di una parte e dell’altra. Il resto -e parliamo di 8 miliardi – tra bebè da accudire, diciottenni da stimolare, mamme da premiare, asili da incoraggiare, mobili e lavori in casa da rilanciare, strumenti musicali da diffondere, alberghi e agriturismo da ristrutturare, professori da aggiornare e premiare, universitari poveri da aiutare. In quasi tutti i casi, senza differenze di reddito. Bonus per tutti e a tutti. E per quelli non rinnovati- Stra divari, 80 euro ai militari -i sostituti sono unicum da collezione. Il bonus verde ad esempio, per avere giardini più belli e meglio irrigati. Ma anche nuove piante in terrazzo. Il bonus dilettanti, meno tasse ai direttori di bande e cori non professionali. Oltre che ad allenatori e sportivi, calciatori soprattutto. Futuri campioni in erba, chissà. N e avremmo bisogno. Il bonus per gli abbonamenti annuali ai mezzi pubblici, un gradito ritorno in un’epoca così attenta al sostenibile. E il bonus bebè, un must già del governo Berlusconi, ripreso da Renzi, poi eliminato, ora ripescato dal Parlamento a grande richiesta dei centristi di ogni area.
Anche il governo del traghettatore Gentiloni non sfugge dunque alla logica del pulviscolo elettorale. Sebbene sia arrivato, non per colpa sua, al traguardo col fiato corto delle risorse ormai ridotte al lumicino. Solo 1,2 miliardi di bonus (su 12,2 nel2018) portano la sua firma. E di questi 890 milioni vanno alle assunzioni: la decontribuzione al 50% resa permanente per gli un der 35 (e in futuro un der 29), agevolazioni per assunzioni al Sud e di giovani agricoltori. Ma può un Paese spendere 6 milioni e mezzo per spingere gli acquisti di gerani e quasi 9 milioni per i dilettanti (allo sbaraglio) quando-a fronte di 725 milioni per i neonati -le politiche attive per trovare lavoro e metter su famiglia sono finanziate solo con 200 milioni e appena 381 milioni vengono destinati all’occupazione? «Risposte parcellizzate e parziali a problemi veri: il sostegno alla natalità, l’aiuto alle famiglie, il taglio delle tasse e del costo del lavoro», ragiona Guglielmo Loy, segretario confederale Uil, che con il suo ufficio studi ha messo in fila le cifre sulla pioggia di bonus. «Con gli stessi soldi potevi fare grandi opere pubbliche. Ma il risultato sarebbe arrivato tra cinque anni. Troppo tardi per una politica che necessita di consenso immediato». Una questione di taglio del nastro? «Alcuni bonus servono per accontentare lobby e centri di potere», risponde Nicola Nobile, seni or economist di Oxford Economics, società di consulenza macroeconomica. «Gli effetti sull’economia sono limitati. Se escludiamo gli 80 euro, nel2018 i bonus impattano per lo 0,2% del Pil. n caso più eclatante sono i 500 euro ai diciottenni: perché a loro sì e a chi ha 17 anni no? Perché votano. Vista dall’estero, questa politica si identifica con il sistema italiano di partiti e parti tini al governo da accontentare». Distinguere però tra il grano e il laglio. «Gli 80 euro erano un escamotage tecnico per ridurre l’Irpeflimitando la platea; gli sgravi sui contratti servivano per dare risultati quantificabili al Jobs Act», analizza Fedele De Novellis, direttore di Congiuntura Ref. «Ma certo i microinterventi sono serviti a legittimare il governo nei tanti passaggi elettorali di questi anni. Privando però il Paese di un disegno organico di politica economica».