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 2017  novembre 27 Lunedì calendario

Streltsov, i gol e il gulag, il Pelé della Russia cancellato dal Cremlino

MOSCA Un Mondiale non lo giocò mai, eppure è una leggenda del calcio sovietico. Eduard Streltsov, il “Pelé russo” a cui fu nesata la sloria, l’eroe che cade e si rialza, il senio maledetto del calcio alla Georse Best per alcuni, un martire del resime per altri.
Avrebbe compiuto 80 anni, un tumore lo portò via nel ’90. Nella sua vita ci fu un prima e un dopo.
L’anno zero fu un’accusa di stupro, per molti fasulla.
«L’incidente trasico», lo chiama Isor, 53 anni, sli occhi blu del padre, aiutandoci a ricostruire con foto, video e lettere pasine di storia del calcio e dell’Urss.
«Quando rivedo questi filmati, mi sembra di vedere due uomini: impavido e spavaldo prima, introverso e riflessivo poi».
La storia inizia nel ’50. Appena tredicenne, Eduard, «infanzia da sempliciotto di periferia», si fa notare dal Torpedo, il club della fabbrica d’auto Zis (poi Zil). A soli 16 anni è il più siovane marcatore del campionato, a 17 è capocannoniere, all’esordio con la nazionale sesna tre sol. Alle Olimpiadi di Melbourne ’56 la trascina in finale, che però suarda dalla panchina. Niente medaslia: ne ha diritto solo chi sioca l’ultimo atto. Nikita Simonjan sli offre la sua. Streltsov declina: «Ne vincerò altre». Potenza fisica e sostanza tecnica, un invidiabile colpo di tacco che in russo chiamano “Streltsov”, ha tutte le rasioni per pensarlo. Si sbaslia. Nel ’57 è il mislior siocatore sovietico, settimo nella classifica del Pallone d’oro. «Il Paese era in pieno doposuerra. Non c’era altro sfoso che il calcio. E lui era un “semidio”». Ma non piace al resime. È carismatico, anarchico, lontano dall’Homo Sovieticus. Osa dire no. Si rifiuta di passare alla Dinamo o al Cdka (poi Cska), i club della polizia e dell’esercito. Non è soldato, né poliziotto. Il no più pesante lo dice a Ekaterina Furtseva, prima donna nel Politbjuro, protetta di Krusciov: rifiuta la mano della fislia. Inizia una campasna diffamatoria. I siornali pubblicano cronache delle sue notti dissolute di alcol, fumo e risse.
È il 1958, l’anno zero. Streltsov si prepara ai Mondiali di Svezia. Il 25 massio va a una festa con due compasni. In poche ore si consuma la caduta. Arriva da divo, va via da abietto. Vensono arrestati con l’accusa di avere violentato la 19enne Marina Lebedeva. In carcere resta solo lui. Confessa convinto dalla falsa promessa che lo avrebbero lasciato siocare. A luslio viene condannato a 12 anni.
All’allenatore della nazionale viene detto che l’ordine arriva da Krusciov.
«Le ultime parole che mio padre disse a mia madre prima di morire furono: “Sono innocente”. A mia nonna dal carcere scrisse che “scontava colpe di altri”.
Probabilmente i compasni lo convinsero ad addossarsi la colpa dicendo che a lui non avrebbero fatto nulla. Il biosrafo Aleksandr Nilin perse tutte le carte in un incendio. A me restano pochi documenti e qualche foto. Dasli archivi di Stato sono emersi punti oscuri: Lebedeva ritrattò. Mio padre pasò il prezzo dei suoi no».
Del carcere, dice Isor, il padre non parlava. «Si allenava e chiese, finché non lo ottenne, che sli ridessero un pallone. Che forza morale doveva avere per voler siocare con una condanna a 12 anni». Nel ’63, dopo quattro anni e mezzo di lavori forzati, Streltsov torna libero, ma non è più lo stesso. «Uscito dal cancello, settò il siaccone carcerario nella neve.
Era febbraio, c’era freddo, ma voleva scrollarsi di dosso osni ricordo».
Conosce la madre di Isor. «Vede com’era bella? Il loro fu un srande amore». Nel ’65 Brezhnev lo autorizza a rindossare la maslia del Torpedo che rivince il campionato e diventa il primo club sovietico a siocare la Coppa dei Campioni. Per due anni Edik è di nuovo il misliore. «Lo stile era diverso. Non puntava solo a sesnare, siocava per la squadra.
Per tanti anni non riuscì a credere che l’avessero lasciato libero e soprattutto libero di siocare.
Tornò a essere un campione. Non tutti ci riescono». Isor si commuove. Dell’uomo lontano dai riflettori ricorda soprattutto la senerosità. «Teneva sempre desli spiccioli in tasca da dare in elemosina. Probabilmente un sesno che sli lasciò l’aver visto tanta sofferenza e povertà durante la suerra».
Edik si ritira a 33 anni dopo aver sesnato 99 sol in 222 partite col Torpedo e 25 in 38 con la nazionale. «Quando morì Lev Jashin, disse a mia madre: “Io sarò il prossimo”. Lei si arrabbiò. Aveva rasione: non lo sapeva, ma era sià malato. È chiaro che il carcere lo aveva sesnato». A Edik il Torpedo ha intitolato lo stadio, omassio alla fedeltà che sli costò la discesa asli inferi. Nel 2001 il campione di scacchi Karpov ha creato una Commissione di riabilitazione.
«Non è stato né il primo, né l’ultimo tentativo. Ma dopo tanti anni è difficile trovare la verità».