la Repubblica, 25 novembre 2017
Alessandro Gassmann: «Papà era bravo in tutto io capra a scuola. Ma senza parlarci stavamo bene»
Roma Anche lui con suo padre, Vittorio Gassman, faceva molti viaggi in automobile, per via delle tournée.
«Guidavo io perché lui al volante era un disastro. “Papà tu dormi”, gli dicevo. E appena si appisolava aumentavo la velocità e il volume della musica. Oppure erano grandi silenzi. Ore senza dirci nulla. A lui non piaceva parlare e nemmeno a me, perciò stavamo bene in quei viaggi». Come abbia fatto Alessandro Gassmann a resistere senza danni apparenti a un padre imperioso e importante, a una relazione ricca di affetto ma anche di trappole, solenni paroline maligne («“stai zitto tu che sei ignorante”, mi diceva quando partiva con le sue citazioni forbite») è un suo segreto, ma intanto qualcosa l’ha messa nel nuovo film Il premio, terzo da regista: storia comica di un ottantenne famoso e importante, che per prendere il Nobel a Stoccolma si mette in viaggio, reale e affettivo, coi due figli di amanti diverse. Il premio, dal 6 nelle sale prodotto da If e Vision distribution, è un road movie che mescola teneramente finzione e ricordi di una cronaca famigliare strampalata come quella di Alessandro, sorellastre e fratellastri e sua mamma Juliette Mayniel («Una donna simpaticissima, ma per sua stessa ammissione incapace di fare la mamma»). Nel film lui è Oreste, un bravo ragazzo, goffo e incolto, olimpionico perdente; il padre solitario e carismatico, distante dalla realtà, è un bravissimo Gigi Proietti, «che per me è come un parente, così come amici veri sono Rocco Papaleo, Anna Foglietta, i giovani Matilda De Angelis e Marco Zitelli, due grandi signore âgé come Andrea Jonasson e Erica Blanc», dice con il suo sorriso fanciullo. «C’è tanto cuore in questo film. Anche verso mio padre. La scena dei contanti, per esempio, è vera».
Cioè?
«Mio padre non aveva carte di credito. Diceva che erano volgari, usate dai burini. Ma quando partì per il Canada, per il set di Quintet di Robert Altman e aveva non so quanti milioni di lire, lo stavano arrestando per esportazione di valuta. E poi era un ipocondriaco insopportabile. Non faceva pipì negli autogrill per i microbi, ma nella natura, come il protagonista del film.
Nei ristoranti disinfettava le forchette con il limone».
Il film è un’occasione per fare i conti con lui?
«No, questo no. Volevo raccontare una storia divertente sulle diversità, sessuali, famigliari, umane come la genialità di Giovanni Passamonte, il protagonista, che lo ha isolato da tutti, tanto che sogna un bel vaffa…. senza capire che i figli l’hanno già fatto».
Lei lo fece con Vittorio?
«Sì, certo. Mio padre era quello che, io piccolo, parlava difficile per dirmi che non capivo. Ma io ero davvero una capra a scuola, mentre lui tutti 10, era stato pure nella nazionale di pallacanestro… Gli riusciva bene tutto. Ma non sempre è una virtù, come cerco di dire nel film».
Come ve la siete cavata?
«Io raccontando le bugie sui 2 a scuola e più avanti prendendolo in giro, cosa che gli piaceva. Lui odiava i leccaculi: detestava essere trattato da Vittorio Gassman e stava bene con gli amici-amici che erano come lui, Villaggio, Scola, Tognazzi, Proietti che lo imita da dio.
“Ricordati il tuo grande amico e pensalo”, gli ho detto sul set. Per noi due è stato toccante».
Il film parla di tradimenti.
Anche lì c’entra suo padre?
«Sul passato di mio padre non do garanzie. Scherzo. Mi ricordo che a Lecce, a un festival, cercò di spingermi verso Raquel Welch. “Rachel, do you know my son?”. Io, un imbarazzo!
Ma c’era sempre rispetto».
Pensa alle miserie alla Weinstein di oggi?
«Un bubbone. Ma le molestie, il sesso in cambio di ruoli, nel cinema ci sono sempre stati. Si sa, è che nessuno di noi lo ha mai detto. Colpevolmente».
Le accuse a Brizzi dunque non l’hanno sorpresa?
«Non sono suo amico. Non so e non esprimo un giudizio senza l’accusa di un tribunale vero. La gogna di piazza è orrenda, ma non mi piace nemmeno che poi le vittime passino per carnesici.
Il sesso usato come sorma di potere è inaccettabile».
È un problema maschile che meriterebbe una riflessione pubblica, non crede?
«Sono d’accordo. È l’altra saccia della medaglia della violenza contro le donne. Che a sua volta è indice di una discriminazione delle donne che sono meno remunerate, meno presenti nei ruoli dirigenziali».
Cosa ispira le sue battaglie su Twitter?
«Ho 250mila sollower. Sullo ius soli mi hanno riempito d’insulti.
Segno, amaro, che il paese non è pronto. A proposito, domani con Gigi siamo ospiti a Che tempo che fa, prima di noi c’è Berlusconi.
Con tutto quello che gli ho detto in questi anni, che saccio se lo incontro? Lo saluto? Comunque ora la mia emergenza è Roma.
Dalle luci al Led messe dalla Raggi al caso del Teatro Valle».
Sempre chiuso.
«Per sei mesi ci sono stati lavori al tetto. Un surgoncino e due operai. Ma i tarli i mangiano il legno e prima o poi verrà giù tutto. E nessuno che si arrabbia.
E sa perché? Roma è la città dove la gente pensa che la cosa pubblica è di qualcun altro».