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 2017  novembre 26 Domenica calendario

Nella fabbrica di bugie del fedelissimo di Putin


Il grigio edificio marmoreo al numero 55 di ulitsa Savushkina stride con le colorate casette del quartiere Primorskij nella periferia settentrionale di San Pietroburgo. «È recente. Ospita degli uffici». Nadja, veterana della zona, ignora che l’anonimo complesso sia il cuore della moderna guerra d’informazione della Russia all’Occidente, la famigerata “fabbrica di troll” che, dietro a falsi profili, disseminano Internet di notizie false e zizzania. La minuscola targa sulla facciata, in effetti, recita solo: “Business centre”. Dietro alle veneziane chiuse un esercito di centinaia di cybersoldati lavora al servizio del lato oscuro del web. Per anni hanno operato inosservati finché alcuni ex dipendenti, come Vitalij Bespalov e Ljuda Savchuk che abbiamo incontrato, non hanno rivelato quello che succede all’interno dell’oscura “Agenzia di Ricerca su Internet”, oggi confluita nella Teka. È questo il nome legale della “fabbrica di troll”, legata secondo varie inchieste a Evgenij Prigozhin, fedelissimo di Vladimir Putin.Ciuffo biondo e occhi bassi, Vitalij, 26 anni, non aveva idea di che posto fosse quando nel 2014 ha accettato l’offerta di lavoro.«Ero solo un neolaureato in Giornalismo alla disperata ricerca di un impiego», ci tiene a precisare. Lavorava al piano terra, tra gli “Autori di notizie”, nella sezione “Ucraina 2”. Doveva riscrivere venti articoli al giorno per vari siti d’informazione, tutti targati.ua cosicché ai lettori sembrassero ucraini. I pezzi dovevano essere epurati di ogni critica alla Russia.«Al primo piano – racconta Bespalov – c’è il dipartimento “Social Media”, al secondo ci sono i “Blogger”, al terzo i “Commentatori”. Le sezioni non comunicano l’una con l’altra, ma lavorano insieme in quello che io chiamo “il carosello della menzogna”. I blogger diventano le fonti citate dagli articoli promossi sui social e commentati dai troll. È così che girano le “fake news”. Allora il tema era l’Ucraina, ma sono sicuro che gli stessi metodi siano stati usati durante le elezioni americane ed europee». Per breve tempo Vitalij ha lavorato anche ai “Social Media”. «Sulla scrivania avevo pile di sim card per registrare finte identità sui social network.Inventavo un nome, pescavo una foto a caso dal web e creavo il profilo che poi veniva usato dai troll». Dopo tre mesi e mezzo, si è licenziato. «Mi sembrava di vivere dentro un romanzo di Orwell.Quando l’ho comunicato alla mia capa, mi ha detto: “Che c’è di male nello scrivere quello che vuole il Cremlino?”. È stata l’unica volta che ho sentito parlare di un ordine dall’alto».Ljudmilla Savchuk, 36 anni, madre single di due bambini, nella “fabbrica” ha resistito solo due mesi e mezzo. Si è «infiltrata sotto copertura per poterla indagare da dentro». Poi l’ha portata in tribunale. Per farsi assumere, nel 2015, ha ripulito i suoi profili social e il suo curriculum dal suo passato d’attivista. «Ora non basterebbe, ti sottopongono alla macchina della verità». Ljuda lavorava tra i blogger. Inventava personaggi fittizi, come quello di un’indovina, e scriveva a loro nome. «Tra un post e l’altro sulla loro vita, dovevo inserire una riflessione politica. Ogni mattina ricevevo le istruzioni: quali temi trattare, quali parole chiave usare». Ljuda ubbidiva e, di nascosto, copiava materiale. Una volta licenziatasi, ha contattato gli avvocati del “Gruppo 29”, specializzato in libertà d’informazione. «Cercavo un modo di far chiudere la fabbrica.Dato che in Russia non c’è una legge che vieta la diffusione di notizie false, l’abbiamo perseguita per evasione perché paga in nero. È così che finì in carcere Al Capone». L’anno scorso Ljuda ha vinto la somma simbolica di un rublo, ma il vero successo – dice – «è stato portare l’Agenzia allo scoperto, costringerla a riconoscere che paga la gente per scrivere falsità».