Il Messaggero, 26 novembre 2017
L’arte dei mattoncini Lego conquista il mondo
Giusto e sbagliato. Bene e Male. L’eterna lotta tra luce e oscurità. Ha scelto un tema universale, raccontato nella versione da fumetto, Nathan Sawaya, star dei mattoncini Lego, per la mostra The Art of the Brick: Dc Super Heroes, in prima italiana a Roma, a Palazzo degli Esami, dal 30 novembre al 25 febbraio. Oltre centoventi le opere per un totale di più di due milioni di mattoncini, dai super-buoni Batman e Flash ai super-cattivi Joker e Harley Quinn. Particolare attenzione è dedicata ai miti dell’infanzia dell’artista, volti e maschere della Justice League, e alla Silver Age della Dc Comics,che dal 1955 al 1970 vide la rinascita dei supereroi. Cuore dell’iter, tra gallerie immersive, una Batmobile lunga più di cinque metri e larga quasi due, entrata nei Guinness World Records. A sedurlo nella creazione dei lavori di questa nuova mostra, in tour mondiale tra 75 città e sei continenti, idea ed emozioni dei super-poteri.
IL DIORAMA
Mentre Roma si appresta ad ammirare le opere di Sawaya, Milano si prepara per City Booming Milano, che sarà dal 7 dicembre al 14 gennaio a Palazzo Giureconsulti. Esposto un diorama di 60 metri quadri, oltre sette milioni di mattoncini e 6000 minifigure, tra persone comuni e, anche qui, supereroi, personaggi dei cartoon, dai Simpson alla Sirenetta, e del cinema, da Sean Connery a Harrison Ford. La più grande metropoli Lego del mondo. Ideatore del progetto, Wilmer Archiutti, fondatore LAB. Nel percorso, video di alcuni fasi di lavoro per cultori e veri fan. Sì perché la passione Lego contagia senza limiti di età, geografia e background. È lo stesso Sawaya a illustrare al meglio, forse, i perché del trend: «Il Lego consente di fare magie ed è accessibile: tutti ci hanno giocato almeno una volta». Gioco per tutti certo ma, quando si parla di arte, panorama di pochi. Sono solo quattordici nel mondo gli artisti Lego Certified Professionals, titolo che l’azienda riconosce per talento, tecnica, professionalità, insomma eccellenza. Sean Kenney, che vive a New York, è uno dei più noti, come Sawaya, anche lui, naturalmente, certificato. Ryan McNaught, australiano, è l’unico riconosciuto nell’emisfero Sud. Poi, Matija Puzar in Norvegia, Duncan Titmarsch a Londra. A Singapore Nicholas Foo, in Canada Robin Sather, a Chicago Adam Reed Tucker, in Belgio Dirk Denoyelle, in Germania Rene Hoffmeister, in Giappone Jumpei Mitsui, certificato quando studiava all’università. In Cina Andy Hung, in Francia Georg Schmitt. Unico italiano, Riccardo Zangelmi, 35 anni, di Reggio Emilia. «Da bimbo – racconta – passavo ore a costruire cose, soprattutto astronavi e castelli. Una delle prime scatole, la più grande, la portò mia madre da un viaggio, quando avevo cinque anni. Tema, lo spazio. Ho montato subito i pezzi. Dopo, come sempre, li ho usati a mio modo. Avevo molti Lego, che purtroppo non ho più, si sono persi in un trasloco». A dodici anni Zangelmi, che oggi ha oltre tre milioni di mattoncini, dimentica il gioco prediletto – «Ho studiato chitarra classica fino a 20 anni, ho preparato gli esami per il conservatorio» – dopo si dedica al lavoro nel giardinaggio. Poi, la scintilla. «A 29 anni, cercando un dono per mio nipote, ho scoperto Lego Star Wars. Ho comprato due scatole: una per lui, una per me. Così è iniziata l’avventura». Lo scorso anno, la certificazione. «Non lo avrei mai immaginato. Alcuni miei lavori, piccoli, sono stati notati da osservatori Lego a una fiera, forte del loro apprezzamento ho inoltrato la richiesta. Da piccolo sognavo di diventare ingegnere Lego. C’è stato un lungo iter di cui non posso svelare le fasi, si tratta di dimostrare creatività, capacità, professionalità».
L’EVOLUZIONE
Un percorso non facile per vari aspetti. «Molti, vedendomi con i Lego, mi dicevano: cosa fai? Oggi mi chiedono sculture. L’Italia è diversa dagli Usa, siamo meno aperti al nuovo». Nel 2015 Zangelmi ha fondato Brickvision per costruire modelli piccoli e grandi. «Bastano dieci pezzi per una farfalla. Ne ho usati 180mila per due grandi mani. Le opere monumentali hanno strutture in acciaio per sicurezza. Pesano 300/400 chili». Prossima sfida? «Realizzare, entro due anni, una personale e portarla in tour nel mondo». Intanto i mattoncini sono musa anche di pittori e street artist, dagli italiani Stefano Bolcato e Udronotto all’olandese Leon Keer. Senza dimenticare Ai Weiwei, che li ha usati come mezzo, e, già nel 1996, Zbigniew Libera con i suoi set per costruire campi di concentramento con tanto di personaggi-scheletro.