il Fatto Quotidiano, 25 novembre 2017
San Siro 1972, finale di campionato noir targato Cormons
Domenica pomeriggio (ore 15) va in scena la sfida fra il Milan, alle prese con i travagli societari, e il Torino, in crisi di risultati. Una partita classica, come direbbe il Gianni Brera “fu Carlo”, e in molti casi, nel passato, quasi sempre favorevole ai milanisti, che pure all’epoca del Grande Torino furono un osso durissimo per i granata.
Ma la memoria dei vecchi tifosi, grazie anche a un libro recente, corre anche alla partita fra rossoneri e granata che si disputò 45 anni fa a San Siro, il 23 aprile 1972, e che terminò con la vittoria del Milan per 1-0 grazie a un rigore trasformato da Romeo Benetti. I granata, allenati da Gustavo Giagnoni, l’uomo del colbacco, recriminarono per il penalty concesso al Milan di Nereo Rocco e per un gol annullato nel finale a Giovanni Toschi detto il “Topo”, toscano di Porcari, terra lucchese. La sconfitta sotto il cielo di Lombardia, assieme all’altra rimediata a Genova (il 12 marzo) con la Sampdoria per 2-1, e segnata dalla mancata concessione di una rete regolare (un pallone respinto dal doriano Marcello Lippi oltre la linea bianca) al granata Aldo Agroppi, contribuirono a far perdere lo scudetto al Torino (se lo aggiudicò la Juventus). Sarebbe stato il primo, se la fortuna lo avesse assistito, dopo la tragedia di Superga del maggio 1949. In entrambe le gare contestate, arbitrò una giacchetta nera di Cormons (Gorizia): Toselli a San Siro, Barbaresco a Marassi.
La stagione 1971-72, tuttavia, ebbe un’altra pagina nera: la denuncia di Gianni Rivera contro Campanati, il designatore degli arbitri, che gli costò una lunga squalifica. Il Milan, in corsa per il titolo con Toro e Juve, aveva lamentato di essere stato penalizzato nella gara con il Cagliari, persa per 2-1. Nel mirino un arbitro, Michelotti, reo di avere concesso ai sardi un rigore decisivo, poi realizzato da Gigi Riva.
Le vicende sono state raccontate in un volume uscito in questi giorni. Si tratta de Lo scudetto “rubato”, pubblicato da Priuli & Verlucca e scritto da Francesco Bramardo e Gino Strippoli, due cronisti di fede granata come, del resto, è quella di Gian Paolo Ormezzano, autore della prefazione. La storia si muove tra fiction e inchiesta giornalistica, con quell’aggettivo, “rubato”, sia pure tra virgolette, per rammentare lo scudetto del ’71-72 perduto dal Toro. Ci fu congiura, ci furono maneggi, o peggio: magari qualche anticipazione in chiave Totocalcio del futuro calcio-scommesse? Ci fu, soprattutto, sudditanza verso la Juve dell’avvocato Gianni Agnelli e della Fiat, che viveva allora il momento della sua massima potenza, tanto industriale quanto di influenza politica e sociale, nonché sportiva? Bramardo e Strippoli non lo affermano in modo assiomatico, però suggeriscono alcune ipotesi che, per usare un eufemismo, si possono definire inquietanti. La stessa denuncia di Rivera, d’altro canto, andava in quella direzione. Chi non credette alle trame fu Brera, che nella sua Storia critica del calcio italiano scrive: “Ora gli arbitri sono le più brave persone del mondo, però fra loro fanno stretta massoneria, com’è giusto: e se tu li proclami disonesti perché uno di loro punisce con un rigore il fallo di mano d’un tuo compagno, addio Milan”.
La partita fra Milan e Torino, e quella di Genova, si conclusero non solo con le sconfitte del Toro, ma con risse assortite. Il medico granata schiaffeggiò Rivera: per il parapiglia di Marassi, Giorgio Ferrini, capitano indimenticabile del Torino, venne squalificato per tre giornate. Il Golden Boy, in ogni caso, pagò più di tutti. Le dichiarazioni all’indirizzo di Campanati, risalenti al 12 marzo ’72, lo costrinsero a stare fuori dal terreno di gioco fino al 30 giugno.