Il Sole 24 Ore, 25 novembre 2017
Il ministro dell’Interno Minniti: «Patto per la legalità con le imprese»
«Abbiamo bisogno di un patto con le imprese, la legalità non è una perdita di tempo»: il ministro dell’Interno, Marco Minniti, la sua frase l’ha buttata lì nel corso della giornata conclusiva a Milano degli Stati generali della lotta alla mafia, alla quale ha presenziato anche il capo dello Stato, Sergio Mattarella.
Di più non ha detto. Poi, quando il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha terminato il suo intervento e ha annunciato, di qui a pochi giorni, la Carta di Milano nella lotta alle mafie, Minniti ha aggiunto qualcosa. «Il mondo dell’economia e delle imprese – ha spiegato al Sole 24 Ore – deve essere consapevole che l’economia mafiosa inquina e distorce e dunque deve fare massa critica con le istituzioni nella difesa della legalità. Delinquere non conviene e il mio è un appello lanciato a tutte le associazioni e in particolar modo a Confindustria».
A distanza di anni è un rilancio di quel protocollo per la legalità che il 10 maggio 2010 sottoscrissero proprio a Milano il Viminale, all’epoca guidato da Roberto Maroni e l’allora presidente degli industriali, Emma Marcegaglia. Anche la politica deve fare di più, ha aggiunto il ministro, come a sposare la denuncia che pochi minuti prima era stata lanciata dal presidente della Commissione parlamentare antimafia, Rosy Bindi, la quale aveva puntato l’indice contro l’assenza delle forze politiche dell’intero arco parlamentare nella due giorni di incontri milanesi.
Minniti avrà forse trovato un motivo in più per la sua sortita dopo aver ascoltato l’intervento del capo della Procura generale di Palermo, Roberto Scarpinato, secondo il quale «al Nord si sono trasferite le mafie più imprenditoriali, riconvertite in agenzie che offrono beni e servizi sul libero mercato e in territori ad alto reddito. Migliaia di imprese nel Centro-Nord chiedono servizi illegali per reggere la competizione, come accade ad esempio per lo smaltimento dei rifiuti. Ci troviamo di fronte a una mafia silente e mercatista, che sta ottenendo uno sdoganamento culturale. Basti pensare che dal 2014 l’Europa ha fatto rientrare il fatturato del traffico di stupefacenti nel Pil».
Il mondo dell’economia è stato al centro di molti interventi in questi due giorni, quasi a voler spingere le imprese sane, che concorrono lealmente nel mercato e che sono la gran parte, a riprendere un cammino di vicinanza con lo Stato interrotto per cause non naturali. Le modifiche al codice antimafia, ha detto ad esempio il ministro Orlando cercando di sopire lunghe polemiche, «non sono state fatte contro il mondo delle imprese e vorrei che questo fosse chiaro. Le critiche del mondo dell’economia hanno trovato anche sponde politiche all’interno del Parlamento ma nulla è stato fatto contro».
L’altro capitolo forte affrontato nella giornata conclusiva è stato quello della super procura europea in tema di lotta alle mafie. È sembrato di assistere a una contrapposizione fiera tra politica e magistratura. Una prova di forza dialettica e sul filo del diritto. Da una parte alcuni procuratori, dall’altra i ministri.
A sintetizzare il pensiero di molti colleghi ci ha pensato il capo della Procura di Catanzaro, Nicola Gratteri: «Attenzione alla procura europea. Dal Centro Europa in su nessuno ha percezione delle mafie». Minniti e Orlando non sono però arretrati di un millimetro. Il primo si è spiegato con un esempio: «Dieci anni fa la strage di Duisburg in Germania ad opera della ’ndrangheta ha reso evidente cos’è l’internazionalizzazione delle mafie. Il livello di disallineamento e disomogeneità legislativa e regolamentare in Europa è troppo forte e l’Europa stessa si deve rendere conto che tutto ciò va affrontato in maniera forte. Abbiamo bisogno di una super Procura europea antimafia e antiterrorismo». Il secondo ha detto che «l’Europa deve essere un punto di riferimento. Un’antimafia europea è la dimensione minima. Quasi in solitudine abbiamo condotto la battaglia per una procura europea che non mette in discussione il nostro diritto sostanziale e credo che la consapevolezza della transnazionalità delle mafie debba e possa far evolvere l’Europa in questo senso».
Tutti d’accordo, invece, sulla moratoria legislativa nella lotta alle mafie. Il capo della Procura di Roma, Giuseppe Pignatone, quello di Milano, Francesco Greco e quello di Napoli, Giovanni Melillo nelle loro relazioni avevano fatto muro contro la modifica del 416 bis, l’associazione mafiosa. «Mi dissocio da quanto ha detto Giovanni Legnini, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura – ha detto Pignatone – e mi associo a quanto detto da Greco e Melillo. Sarei grato al Parlamento se non facesse più interventi legislativi e sarei grato se non si toccasse il 416bis, introdotto nell’82. Finora ha funzionato benissimo. Ci ha permesso di sconfiggere la mafia corleonese, contrastare ’ndrangheta e camorra. Ci ha permesso di combattere la mafia globalizzata e finanziarizzata». Poco prima Greco aveva aperto il fronte dei procuratori capo che si oppongono alle modifiche legislative, in particolare al 416bis e Melillo, a ruota, aveva affermato che «c’è bisogno di una moratoria legislativa».
«Accolgo la richiesta generale della moratoria legislativa – ha affermato Orlando – e con particolare riguardo al 416bis se non vi abbiamo messo mano è perché sapevamo che se lo avessimo fatto avremmo aperto un vaso di Pandora che non avremmo saputo come chiudere». Proprio ieri, però, il capo della Procura nazionale antimafia e antiterrorismo, Federico Cafiero De Raho, aveva affermato che «bisogna modificare il 416bis inserendo un’aggravante dell’aver conseguito la mafia appalti di forniture, appalti e servizi con metodi corruttivi».
r.galullo@ilsole24ore.com