Gazzetta dello Sport, 25 novembre 2017
Sangue nel Sinai

Nessuno si fa carico dei 235 morti di Bir al Abed, nel Sinai. Si pensa che sia un’azione dell’Isis, ma le sigle terroristiche laggiù sono così numerose che non si sa neanche con certezza che cosa voglia dire, a questo punto, «Isis».
• Musulmani contro musulmani, no? Come si spiega?
Non è la prima volta e in generale, come abbiamo detto spesso, il terrorismo islamico è una faccia dell’eterno scontro tra sunniti, che hanno il loro epicentro a Riad, e sciiti, che guardano a Teheran. Gli attentatori della moschea sono sciiti, cioè inviati dell’Iran? Si direbbe di no, se si tratta dello Stato islamico, perché lo Stato islamico è ferocemente sunnita. Tra le espressioni di solidarietà giunte ieri al presidente egiziano Al Sisi ci sono anche quelle del re Salman d’Arabia. Tutti sunniti: l’egiziano, il saudita e gli attentatori.
• E le 325 vittime?
Quelle sarebbero sufi, variante mistica dell’islamismo, che i sunniti dell’Isis considerano pari all’inferno. L’anno scorso quelli dell’Isis hanno decapitato uno sceicco sufi di 98 anni. Bir al Abed è un posto pieni di seguaci del sufismo, e gli islamisti del califfo ne hanno ammazzati parecchi, col solito sistema di tagliargli la testa. Lo scorso gennaio, sulla rivista Rumiya, una di quelle che fa propaganda allo Stato islamico, un emiro aderente a uno dei gruppi terroristici sunniti che pretende l’ortodossia più rigorosa - il Wilayat Sinai - s’è fatto intervistare per quattro pagine e uno dei concetti espressi con più forza era che il sufismo è uno dei peggiori mali dell’Islam. Poi c’è il capitolo Egitto e non c’è dubbio che il calcolo politico riguarda anche l’attuale regime.
• Perché dovrebbero avercela con l’Egitto?
L’ex presidente Hosni Mubarak si reggeva (cioè aggirava le tensioni dovute alla misera e alle enormi disuguaglianze sociali) facendosi dare soldi dagli americani. La Casa Bianca garantiva al Cairo almeno un miliardo di dollari l’anno. E li garantisce ancora perché il merito di Al Sisi, agli occhi del mondo e soprattutto agli occhi degli Stati Uniti, è quello di aver neutralizzato le elezioni regolarmente vinte da Morsi, esponente moderato dei Fratelli Musulmani (a proposito: sarebbe bene convincersi che i Fratelli Musulmani non sono terroristi). L’amicizia con gli americani dell’ex presidente Mubarak e dell’attuale presidente Al Sisi ha come conseguenza un buon rapporto con Israele, fatto che mette l’Egitto inevitabilmente nel mirino di tutti. Quale zona divide Israele dall’Egitto? Proprio la penisola del Sinai, che lei avrà sicuramente presente, quella specie di pera che sta in testa al Mar Rosso.
• Quindi il fatto che l’attentato di ieri sia avvenuto nel Sinai è pieno di significati.
Il Sinai è in un certo senso il nuovo stato islamico, anche se qui operano anche, con vari gruppuscoli affiliati, quelli di Al Qaeda, che del califfo sono nemici.
• S’è capito qualcosa di più sull’attentato?
Per ora si sa poco e quello che si sa è confuso. Esiste, a Bir al Abed, questa moschea che si chiama Al Rawda. Un testimone racconta che una bomba era stata posta all’interno, e quando questa bomba è scoppiata e i fedeli sono scappati all’aperto hanno trovato un commando forse di quattro uomini che aveva piazzato dei mitragliatori su dei fuori strada e da qui ha cominciato a falciare i fuggitivi. Secondo altri, una o più bombe erano invece state piazzate all’esterno della moschea. Il meccanismo tuttavia resta sempre quello: i terroristi hanno sparato su quelli che scappavano, ammazzando a più non posso. Foto scattate con i cellulari mostrano i corpi insanguinati sdraiati sul pavimento del tempio. I terroristi hanno anche incendiato una decina di automobili prima di dileguarsi. Al Sisi ha proclamato tre gioni di lutto e pronunciato un forte discorso: «Questo attentato non fa altro che renderci più solidi, più forti e più uniti nella nostra lotta contro il terrorismo». Il guaio è che ancora giovedì il ministro dell’Interno Magdy Abdel Ghaffar aveva detto al parlamento: «La situazione della sicurezza nel Sinai è stabile, i cittadini che vivono nella penisola adesso sono più sicuri, stiamo riorganizzando la presenza della polizia e dell’esercito». Ai deputati Ghaffar aveva perfino annunciato che tre membri dei Fratelli Musulmani erano stati appena uccisi durante un’operazione di sicurezza della polizia, mentre altri nove erano stati arrestati. In realtà sul tema della sicurezza Al Sisi si gioca la poltrona. È con la scusa della sicurezza che il regime ha adottato le tattiche orrende che conosciamo, quelle che hanno portato, tra l’altro, alla tragica fine del nostro Regeni: embargo ai giornalisti, torture ai dissidenti, divieto di manifestare in pubblico anche la minima idea diversa da quello che sostiene il governo. Anche in questo senso, i 235 morti della moschea pesano come un macigno.