il Fatto Quotidiano, 24 novembre 2017
La famiglia “padrona” di Messina sconfitta soltanto da un sindaco scalzo
Se volete affondare le mani nella melma del potere in Sicilia, dovete riguardare i video della campagna elettorale di Luigi Genovese. Reggetevi lo stomaco, ma guardate. Il giorno dopo lo spoglio delle schede per l’elezione del Parlamento siciliano è festa grande nella sede di Forza Italia a Messina. Luigi, 21 anni, ha vinto con 18 mila preferenze ed è il parlamentare regionale più votato.
Baci e abbracci. Mamma e papà commossi. Finalmente una gioia. Ora mammina e papino possono dimenticare le amarezze di una condanna a 11 anni per papà Francantonio, e a 3 anni e 3 mesi per mamma Chiara Schirò. C’è anche uno zio a battere le mani e mangiare cassate, è Franco Rinaldi, pure lui è stato onorevole e pure lui è stato condannato a due anni e mezzo.
La tristezza è scomparsa anche dal volto gentile della zia acquisita Elena, la moglie del fu onorevole Rinaldi, anche lei condannata a 6 anni e 6 mesi. Si festeggia, e vai con la musica. We are the champions. Noi siamo i campioni, cantano i Genovese. E hanno ragione. Perché a Messina comandano loro. Dal 1951, per la precisione, quando l’ex capocuoco dell’ospedale cittadino diventò segretario provinciale della Democrazia cristiana. Si chiamava Nino Gullotti, nonno di Francantonio. Nel 1958 diventò deputato e poi fu dieci volte ministro, fino al 1983. Lavori Pubblici, Partecipazioni statali, Poste, Beni culturali. Nella Capitale moroteo, giù, nella città “babba” costruttore di uno spietato sistema di potere. E dopo il nonno, anche il papà di Francantonio arriva alla Camera dove si ferma dal 1972 al 1994.
I Genovese diventano padroni della politica e di tutto quello che si muove tra le due sponde d’Italia. Soprattutto i trasporti nello Stretto. È l’alleanza con gli armatori Franza a imporre un imbattibile monopolio nelle acque di Scilla e Cariddi. Mare, alberghi, centri commerciali, un impero. E formazione professionale. Una gestione esclusiva, familistica, arrogante dei corsi. È la Genovese family ad assumere gli insegnanti e il personale, sono mogli, cognati e cognate a trasformare i corsi in una macchina mangiasoldi. Alla faccia dei disoccupati siciliani. A Roma e nelle stanze che contano tutti sapevano dei Genovese e dei loro affari.
Ma tutti i leader nazionali che “scendevano” in Sicilia per arraffare voti e potere, baciavano la pantofola di Francantonio. L’elenco dei distratti è lunghissimo. Prima Berlusconi, poi Veltroni, che nel 2007 lo incorona segretario regionale del Pd e gli affida addirittura la composizione delle liste, infine Bersani che lo ricandida, e poi Renzi, e poi ancora Berlusconi, quando, dopo l’arresto il ras di Messina lascia i democrat e trasloca in Forza Italia. Passando per i governatori. Il “rivoluzionario” Saro Crocetta, e il “fascista galantuomo” Nello Musumeci. Non voglio i voti degli impresentabili, tuonò sulle piazze, ma i voti dei Genovese gli sono serviti eccome.
We are the champions. E hanno ragione. Francantonio, nonostante la condanna, è ancora deputato. Il Parlamento gli versa ancora stipendi e contributi e voi dovete pure chiamarlo onorevole. Lo stesso titolo che ora spetta al rampollo. Dovevate vederlo in campagna elettorale. Camicia arrotolata, jeans, occhialini da studente americano. “Luigi ha un’esperienza che gli viene dalla sua famiglia”, disse di lui Gianfranco Miccichè. “Ho avuto trasmessi dei valori”, replica il ragazzo agli attacchi.
I valori sono quelli raccontati nelle carte dell’inchiesta che lo vedono imputato assieme al padre. Per il resto la pantofola di famiglia è al sicuro, pronta a ricevere altri baci eccellenti. Solo un uomo non la baciò mai. È un tipo strano, buddhista e pacifista, uno che si incatena ai piloni dei ponti. Si chiama Renato Accorinti e nel giugno di 4 anni fa si mise in testa di diventare sindaco di Messina. Non aveva un partito, ma riuscì a battere Felice Calabrò, l’uomo di Francantonio. Quella fu la prima volta che i Genovese furono sconfitti.