24 novembre 2017
APPUNTI PER GAZZETTA - L’ATTENTATO AL CAIROLASTAMPA.ITGIORDANO STABILE giordano stabile inviato a beirut E’ salito ad almeno 235 morti il bilancio dell’attacco dell’Isis a una moschea nel Sinai, vicino al capoluogo settentrionale della penisola, Al-Arish
APPUNTI PER GAZZETTA - L’ATTENTATO AL CAIRO
LASTAMPA.IT
GIORDANO STABILE
giordano stabile inviato a beirut
E’ salito ad almeno 235 morti il bilancio dell’attacco dell’Isis a una moschea nel Sinai, vicino al capoluogo settentrionale della penisola, Al-Arish. Un commando di trenta terroristi a bordo di quattro fuoristrada ha lanciato esplosivi e poi ha aperto il fuoco nella moschea Al-Rawda di Bir al-Abed, una località a pochi chilometri da Al-Arish, più volte bersaglio degli attacchi degli islamisti che si nascondono nella zona montagnosa al confine fra l’Egitto e Israele.
Falciati con le mitragliatrici
Questo è però l’attacco di gran lunga più sanguinoso. Secondo fonti ospedaliere del Cairo ci sarebbero anche centinaia di feriti. La polizia locale ha confermato che i terroristi sparavano con armi automatiche, mitragliatrici montate sui fuoristrada sui fedeli che cercavano di scappare e ne hanno falciati così a decine. Alcune immagini diffuse forse dai telefonini mostrano anche l’interno della moschea pieno di corpi. Il bersaglio dei terroristi sembra essere un gruppo di agenti nella moschea per il venerdì di preghiera.
AFP
Attacco ai “miscredenti”
L’Isis in Egitto ha attaccato molte volte chiese cristiane copte ma questo è il primo attacco di queste dimensioni contro una moschea. Lo Stato islamico considera miscredenti, kuffar, anche i musulmani, pure sunniti, che si schierano con i regimi laici, definiti apostati. Il presidente Abdel Fatah al-Sisi è salito al potere nell’estate del 2013 dopo aver deposto il presidente islamista Mohammed Morsi, legato ai Fratelli musulmani.
Sufi nel mirino
La moschea Al-Rawda è considerata un centro del sufismo, una corrente islamica invisa ai jihadisti. Anche se l’Isis non ha ancora rivendicato l’attacco il gruppo è il maggior indiziato: lo Stato islamico ha preso di mira più volte i sufi nel Sinai e l’anno scorso la “polizia religiosa” dell’Isis ha decapitato uno sceicco sufi molto seguito, di 98 anni.
REPUBBLICA.IT
IL CAIRO - È di almeno 235 morti e oltre cento feriti il bilancio dell’attacco terroristico di stamattina contro la moschea egiziana di Bir al-Abed, a ovest della città di Arish, nella regione del Nord Sinai. Lo conferma un comunicato della Procura generale egiziana. I terroristi avrebbero collocato ordigni artigianali intorno al luogo di culto, facendoli esplodere all’uscita dei fedeli, dopo la preghiera del venerdì, giorno sacro per i musulmani. Gli attentatori avrebbero poi sparato sulle persone in fuga e sulle ambulanze giunte sul posto per soccorrere le vittime, almeno secondo quanto ha detto al canale Extra News il responsabile dei soccorsi Ahmad al-Ansari.
Il commando non è ancora stato identificato, ma i sospetti delle autorità ricadono su gruppi islamisti attivi nella regione. La moschea è per lo più frequentata da sufi, fedeli che praticano il sufismo, una corrente mistica dell’islamismo.
LEGGI - SINAI: IL NUOVO AFGHANISTAN ALLE PORTE D’EUROPA
La moschea colpita "è frequentata dalla tribù Sawarka, la maggiore del nord del Sinai e, in generale, conosciuta per la sua collaborazione con l’esercito e le forze dell’ordine" nella lotta contro l’Isis, ha spiegato una fonte locale all’Ansa.
· LUTTO NAZIONALE
Al momento non c’è stata nessuna rivendicazione. Il presidente egiziano al-Sisi ha convocato una riunione d’emergenza con i responsabili della sicurezza e in tutto il Paese sono stati dichiarati tre giorni di lutto.
La prima condanna dell’attacco è arrivata da Al-Azhar, il più influente centro teologico e universitario dell’islam sunnita, basato al Cairo, tramite le parole del suo Grande Imam Ahmed al-Tayeb, riportate dall’agenzia Mena.
· IL SOSTEGNO ITALIANO
Anche dall’Italia arrivano parole di condanna. "Orrore per la strage terroristica nella moschea del sinai. I nostri pensieri vanno alle vittime, la nostra solidarietà alle famiglie colpite e all’Egitto", ha scritto su Twitter il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni.
Mentre il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, con un messaggio inviato all’omologo egiziano Abd Al-Fattah Khalil Al-Sisi, ha fatto sapere che "nella comune lotta contro il terrorismo e l’estremismo religioso -nemici esiziali della libera espressione del culto- l’Egitto potrà contare sempre sul determinato sostegno dell’Italia".
AFGHANISTAN ALLE PORTE D’EUROPA
L SINAI, il grande deserto egiziano, si è trasformato ormai nel nuovo Afghanistan alle porte dell’Europa. Soltanto giovedì, intervenendo davanti al parlamento egiziano, il ministro degli Interni Magdy Abdel Ghaffar aveva rassicurato: "La situazione della sicurezza nel Sinai è stabile, i cittadini che vivono nella penisola adesso sono più sicuri, stiamo riorganizzando la presenza della polizia e dell’esercito".
Ai deputati Ghaffar aveva perfino annunciato che 3 membri dei Fratelli Musulmani erano stati appena uccisi durante un’operazione di sicurezza della polizia, mentre altri 9 sono stati arrestati.
LEGGI Egitto, attacco a moschea sufi: almeno 200 morti
Ma nel Sinai i Fratelli sono i "terroristi" sbagliati, o forse non sono neppure terroristi, ma soltanto oppositori che il governo tratta da jihadisti per ragioni politiche. Nella penisola Sinai lo Stato egiziano ormai da anni è in difficoltà sempre maggiori perché deve affrontare non uno ma almeno due gruppi terroristici di primissima grandezza in rivalità fra di loro. Nella penisola che arriva fino ai confini di Israele è esploso lo scontro fra al-Qaeda e una milizia che fa riferimento all’Islamic State e che starebbe accogliendo i combattenti in fuga dal teatro siriano ed iracheno
Nelle scorse settimane il capo terrorista Abu Muhammad Al-Salafi Al-Sinawi, un jihadista che segue la corrente fondata da Osama bin Laden, ha lanciato la sua sfida all’Islamic State con un messaggio tv. Il titolo del messaggio è La verità sul Kharigismo di al-Baghdadi nel Sinai. Il "karigismo" era una branca dell’Islam che si distaccò dall’ortodossia ai tempi del quarto califfo, e da allora il movimento, la parola stessa, sono diventati sinonimo di eresia, di dissidenza da stroncare anche con la violenza.
Per questo l’uomo di al-Qaeda nel Sinai ha accusato i seguaci dell’Isis soprattutto di una cosa: di aver attaccato altri musulmani nel Sinai, non solo di azioni contro il comune nemico rappresentato dal regime egiziano.
Secondo gli analisti il messaggio di Al Sinawi (l’uomo del Sinai) formalizza uno scontro che ormai era sotto gli occhi di tutti da quando l’Isis ha provato a passare nella penisola. Aqsp (Al Qaeda nella Penisola del Sinai) si è trovata di fronte allo stesso scenario che sta fronteggiando Al Qaeda in Afghanistan insieme ai talebani, ovvero l’ingresso di una nuova formazione terroristica islamista che cerca uno spazio vitale sul territorio di uno stato musulmano incapace di controllare il territorio come quello egiziano.
Per tornare alla capacità dell’esercito e della polizia del Cairo di controllare il terrorismo nel deserto, soltanto un mese fa il presidente Abdel Fatah el Sisi era stato costretto a reagire al più sanguinoso assalto mai condotto dai terroristi contro la polizia egiziana. In un’imboscata a Ovest del Cairo, quindi nel deserto occidentale, un gruppo islamista era riuscito ad uccidere 80 poliziotti, fra cui almeno 2 generali e alcuni colonnelli. Sisi aveva reagito ordinando la sostituzione del capo di stato maggiore della Difesa, il generale Mohammed Farid Hegazy, che tra l’altro è suo consuocero, e promuovendo il generale Mahmoud Hegazy (i due non sono parenti).
CORRIERE.IT
GUIDO OLIMPIO
Ferocia, determinazione e resistenza
Le chiese, le forze di sicurezza, le personalità, le linee di comunicazione e ora una moschea sufi. Il terrorismo egiziano, con tutte le sue sigle, colpisce come e quando vuole dimostrando ferocia, determinazione e resistenza. Al tempo stesso il governo del generale al Sisi appare non in grado di parare i colpi di una minaccia sempre più intensa e variabile. E questo a dispetto delle promesse fatte a quanti lo appoggiano e della repressione nei confronti di ogni forma di dissenso.
La penisolaL’intera penisola del Sinai è stata trasformata in campo di battaglia. Nel nord, dove è avvenuto il massacro, operano i seguaci del Califfato che hanno inglobato altre formazioni attive da tempo. E progressivamente le colonne jihadiste si sono spinte verso la parte centrale e lungo il confine con la Libia. L’islamismo si è sommato all’irredentismo di alcuni clan beduini, spesso coinvolti in traffici e parte di una popolazione negletta dal potere centrale. Sempre in questa regione si muovono organizzazioni concorrenti dello Stato islamico, compreso Ansar al Islam, sigla che ha rivendicato l’agguato a un convoglio di agenti nell’oasi di Bahariya e sarebbe legata al qaedismo. Il suo leader è un ex ufficiale delle unità speciali, Hisham Ashmawi.
Le tatticheI terroristi impiegano tattiche multiple, a seconda delle loro possibilità e capacità. Nel Sinai hanno colpito posti di blocco, avamposti isolati, villaggi, reparti dell’esercito. C’è un largo impiego di ordigni rudimentali piazzati ai lati delle strade, di kamikaze, di formazioni miste dove l’azione suicida è seguita dall’intervento di commando. Gli estremisti sfruttano la conoscenza del terreno, l’ampiezza del territorio e l’atteggiamento dell’esercito, mai abbastanza mobile nei confronti di un nemico sfuggente. Lo Stato maggiore ha accresciuto il ricorso a aviazione e elicotteri per sorprendere il network di appoggio: raid spesso pubblicizzati sul web dal Cairo per rispondere all’intensa propaganda jihadista.
(Afp)
Nelle città
La fazione Hasm, ritenuta una costola violenta della Fratellanza musulmana, si è specializzata nel target killing. Alti funzionari, ufficiali, semplici agenti sono rimasti vittime di imboscate avvenute nella maggioranza dei casi in centri urbani. Terrorismo insidioso, di solito diverso dallo stragismo dello Stato islamico, ma di grande impatto perché enfatizza le crepe degli apparati di sicurezza. Anche se è chiaro che è impossibile dare protezione a tutti e comunque gli esponenti in divisa devono badare a loro stessi.
I luoghi di cultoLo Stato islamico ha compiuto massacri nelle chiese copte, ha proseguito una campagna contro la comunità cristiana che risale al passato e non ha mai avuto problemi a uccidere dei musulmani. La moschea al Rawdah a Bird al Abed è di osservanza sufi e questo potrebbe averla trasformata in un target. C’erano state minacce specifiche rivolte contro questa componente del mondo islamico – è considerata dall’Isis una setta eretica - e alcuni esponenti erano stati vittime di sparatorie. Gli attacchi nei luoghi di culto, già visti in altri quadranti, servono a esasperare gli animi, a provocare fratture religiose, a innalzare la tensione. Inevitabile che l’opinione pubblica addossi parte delle responsabilità a un governo mai tenero e che picchia duro.
I timori
Di recente il generale al Sisi (foto sotto) ha segnalato il pericolo che l’Egitto possa diventare meta per i mujaheddin provenienti dalla Siria e dall’Iraq. Il declino territoriale dello Stato islamico potrebbe indurre una parte dei combattenti a cercare nuove sponde sfruttando proprio la situazione esistente nel Sinai. C’è anche il timore che la filiera della Jihad sia usata per trasferire uomini fino in Libia. Esiste un arco di instabilità che offre spazi agli estremisti. Il quadro sociale e economico dell’Egitto, con le sue diseguaglianze croniche e la sfiducia verso le autorità, rappresenta il trampolino ideale mentre il pugno di ferro dei militari – spesso indiscriminato – ha un impatto ridotto sul terrorismo e finisce per fare il loro gioco.
Il 31 ottobre 2015 un jet russo (foto sotto) è stato distrutto dopo il decollo dallo scalo di Sharm el Sheikh, 224 le vittime. Disastro attribuito ad una bomba nascosta nelle stive dell’aereo da parte di terroristi dello Stato islamico. Il movimento ha rivendicato l’operazione diffondendo la foto di una lattina e di un detonatore, presunta copia dell’ordigno utilizzato. Secondo una ricostruzione i militanti avrebbero aggirato i controlli grazie alla complicità di personale di terra. Vicenda dove non mancano i punti oscuri, ma che ha rappresentato un ulteriore conferma di come l’Egitto sia sotto attacco e su molti fronti.
SOLE24ORE
giordano stabile inviato a beirutE’ salito ad almeno 235 morti il bilancio dell’attacco dell’Isis a una moschea nel Sinai, vicino al capoluogo settentrionale della penisola, Al-Arish. Un commando di trenta terroristi a bordo di quattro fuoristrada ha lanciato esplosivi e poi ha aperto il fuoco nella moschea Al-Rawda di Bir al-Abed, una località a pochi chilometri da Al-Arish, più volte bersaglio degli attacchi degli islamisti che si nascondono nella zona montagnosa al confine fra l’Egitto e Israele.
Falciati con le mitragliatrici
Questo è però l’attacco di gran lunga più sanguinoso. Secondo fonti ospedaliere del Cairo ci sarebbero anche centinaia di feriti. La polizia locale ha confermato che i terroristi sparavano con armi automatiche, mitragliatrici montate sui fuoristrada sui fedeli che cercavano di scappare e ne hanno falciati così a decine. Alcune immagini diffuse forse dai telefonini mostrano anche l’interno della moschea pieno di corpi. Il bersaglio dei terroristi sembra essere un gruppo di agenti nella mosche per il venerdì di preghiera.
AFP
Attacco ai “miscredenti”
L’Isis in Egitto ha attaccato molte volte chiese cristiane copte ma questo è il primo attacco di queste dimensioni contro una moschea. Lo Stato islamico considera miscredenti, kuffar, anche i musulmani, pure sunniti, che si schierano con i regimi laici, definiti apostati. Il presidente Abdel Fatah al-Sisi è salito al potere nell’estate del 2013 dopo aver deposto il presidente islamista Mohammed Morsi, legato ai Fratelli musulmani.
Sufi nel mirino
La moschea Al-Rawda è considerata un centro del sufismo, una corrente islamica invisa ai jihadisti. Anche se l’Isis non ha ancora rivendicato l’attacco il gruppo è il maggior indiziato: lo Stato islamico ha preso di mira più volte i sufi nel Sinai e l’anno scorso la “polizia religiosa” dell’Isis ha decapitato uno sceicco sufi molto seguito, di 98 anni.
310
Continua a salire il tragico bilancio dell’attentato che ha interessato la moschea egiziana di Al Rawdah, nel Sinai settentrionale. L’attacco, condotto piazzando una “bomba all’interno” del luogo di culto e sparando sui fedeli che fuggivano dopo l’esplosione, ha provocato sinora «235 morti e 109 feriti», secondo un comunicato della Procura generale egiziana ricevuto dall’Ansa al Cairo.
I terroristi hanno bruciato «una decina» di auto dei fedeli parcheggiate davanti alla moschea, ha riferito il consigliere comunale, Salama El Rokei.
Attentato in moschea nel nord del SinaiIl luogo di culto islamico si trova lunga la cosiddetta «autostrada internazionale» ed è frequentata anche da automobilisti di passaggio. Il sito “Sinai plus” riferisce che “dieci ambulanze” sono state fatte convergere sul posto da Ismailia.
«Orrore per la strage terroristica nella moschea del Sinai. I nostri pensieri vanno alle vittime, la nostra solidarietà alle famiglie colpite e all’Egitto», ha scritto su Twitter il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni. Il presidente della Repubblica Mattarella ha inviato un messaggio di cordoglio al suo omololgo egiziano Al Sisi, mentre il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, in un tweet ha definito l’attentato «orribile e vile». In un breve discorso televisivo rivolto alla nazione dopo l’attacco alla moschea, Al Sisi - con implicito riferimento all’Isis - ha annunciato che «le forze armate risponderanno con forza brutale a questo gruppuscolo». «Questo attentato non fa altro che renderci che più solidi, più forti e più uniti nella nostra lotta contro il terrorismo», ha detto ancora il capo di Stato egiziano
Orrore per la strage terroristica nella moschea del #Sinai I nostri pensieri vanno alle vittime, la nostra solidari… https://twitter.com/i/web/status/934073232206057474
– Paolo Gentiloni(PaoloGentiloni)L’Egitto combatte con l’intensificazione della minaccia islamista dal 2013.
LE MONDE
Le chiffre Au moins 235C’est le nombre de morts donné par la télévision d’Etat dans un bilan provisoire, ce qui fait de cette attaque la plus meurtrière de l’histoire récente de l’Egypte. Au moins 109 autres personnes ont été blessées dans cette attaque qui a visé les fidèles pendant la grande prière hebdomadaire.
La précédente attaque la plus meurtrière dans ce pays remonte à octobre 2015, lorsqu’un attentat à la bombe revendiqué par la branche égyptienne de l’EI avait coûté la vie aux 224 passagers d’un avion russe après son décollage de Charm El-Cheikh, station balnéaire du Sinaï Sud.
Le flou sur les circonstances de l’attaqueLa mosquée Al-Rawdah est notamment fréquentée par des adeptes du soufisme, un courant mystique de l’islam que l’organisation Etat islamique (EI) considère comme hérétique et appelle à combattre.
L’attaque, au cours de laquelle plusieurs conscrits de l’armée qui se trouvaient dans la mosquée ont été tués, n’a pas été revendiquée et aucune annonce officielle n’a été faite quant au nombre exact d’assaillants. Des témoins ont déclaré que les terroristes avaient encerclé la mosquée avec des véhicules tout-terrain et qu’ils avaient ensuite posé une bombe à l’extérieur du bâtiment.
Après qu’elle eut détoné, les hommes armés ont fauché les fidèles paniqués qui tentaient de fuir et mis le feu aux véhicules de ces derniers afin de bloquer les routes menant à la mosquée.
Pour aller plus loin L’Etat islamique renforce son empreinte dans le SinaïEgypte : l’échec du maréchal SissiMinée par les attentats, l’Egypte cible des « camps djihadistes » en Libye La citation « Les forces armées et la police vengeront nos martyrs et ramèneront la sécurité et la stabilité avec force très prochainement. »Après avoir déclaré trois jours de deuil national, le président égyptien, Abdel Fattah Al-Sissi, a promis de répondre avec une « force brutale » à cet attentat, alors que l’Etat égyptien peine à exercer son contrôle sur la péninsule du Sinaï, qui borde Israël et la bande de Gaza palestinienne.
Plusieurs dirigeants, dont Emmanuel Macron, Donald Trump, Vladimir Poutine ou encore le roi Salman d’Arabie saoudite ont condamné l’attaque et ont apporté leur soutien à l’Egypte.
La branche égyptienne de l’Etat islamique mène régulièrement des attaques contre les forces de sécurité dans la péninsule du Sinaï, bien que la fréquence et l’ampleur de ces attaques contre les militaires aient diminué au cours de l’année écoulée. Les djihadistes se sont tournés vers des cibles civiles, attaquant non seulement des chrétiens et des soufis mais aussi des habitants bédouins du Sinaï accusés de collaborer avec l’armée.
Elles fuient l’horreur, les persécutions et la mort. Depuis peu, des dizaines de familles de chrétiens coptes d’Egypte quittent la péninsule du Sinaï en direction d’Ismaïlia, ville située à environ 120 kilomètres au nord-est du Caire, à la suite d’une série d’exécutions perpétrées par des militants affiliés à l’organisation Etat islamique (EI) à Al-Arish. The Los Angeles Times, Middle East EyeZone largement désertique, le Sinaï va-t-il devenir un sanctuaire durable du djihadisme mondial ? Depuis le soulèvement de 2011 qui a mis à bas le raïs Hosni Moubarak, et plus encore depuis le renversement de Mohamed Morsi en juillet 2013, des groupes armés y multiplient les attaques, notamment contre les militaires. Al-JaziraL’EI, en particulier, s’y implante à marche forcée et n’hésite pas à commettre des atrocités pour se prémunir de toute « infiltration ». Au cours des derniers jours, le groupe a ainsi enlevé quatre hommes accusés de collaborer avec le gouvernement. D’après les autorités égyptiennes, deux d’entre eux auraient été abattus (les deux autres sont portés disparus), dont l’un aurait eu les yeux arrachés avant d’être brûlé vif.Le mouvement d’exil des Coptes de cette région s’est encore accentué depuis que les zélateurs d’Abou Bakr Al-Baghdadi ont diffusé une vidéo dans laquelle ils menacent de s’en prendre aux membres de la communauté chrétienne (environ 10 % de la population nationale), accusés d’être des « infidèles ». Un guide a même été publié sur les techniques à utiliser… VocativCette hémorragie migratoire transparaît dans les chiffres officieux donnés par des prêtres et des résidents, faute de
Elles fuient l’horreur, les persécutions et la mort. Depuis peu, des dizaines de familles de chrétiens coptes d’Egypte quittent la péninsule du Sinaï en direction d’Ismaïlia, ville située à environ 120 kilomètres au nord-est du Caire, à la suite d’une série d’exécutions perpétrées par des militants affiliés à l’organisation Etat islamique (EI) à Al-Arish. The Los Angeles Times, Middle East EyeZone largement désertique, le Sinaï va-t-il devenir un sanctuaire durable du djihadisme mondial ? Depuis le soulèvement de 2011 qui a mis à bas le raïs Hosni Moubarak, et plus encore depuis le renversement de Mohamed Morsi en juillet 2013, des groupes armés y multiplient les attaques, notamment contre les militaires.
Al-Jazira L’EI, en particulier, s’y implante à marche forcée et n’hésite pas à commettre des atrocités pour se prémunir de toute « infiltration ». Au cours des derniers jours, le groupe a ainsi enlevé quatre hommes accusés de collaborer avec le gouvernement. D’après les autorités égyptiennes, deux d’entre eux auraient été abattus (les deux autres sont portés disparus), dont l’un aurait eu les yeux arrachés avant d’être brûlé vif. Le mouvement d’exil des Coptes de cette région s’est encore accentué depuis que les zélateurs d’Abou Bakr Al-Baghdadi ont diffusé une vidéo dans laquelle ils menacent de s’en prendre aux membres de la communauté chrétienne (environ 10 % de la population nationale), accusés d’être des « infidèles ». Un guide a même été publié sur les techniques à utiliser… Vocativ
Cette hémorragie migratoire transparaît dans les chiffres officieux donnés par des prêtres et des résidents, faute de statistiques officielles. Avant 2011, près de 5 000 chrétiens vivaient dans le nord du Sinaï. Désormais, ils seraient moins d’un millier. Face au fléau djihadiste, le président Abdel Fattah Al-Sissi en fait-il assez ? Parmi les déplacés, certains le croient. D’aucuns, désabusés, y voient à l’inverse la marque de son échec à protéger ses concitoyens. D’autres encore pensent que les forces de sécurité sont gangrenées par les extrémistes.Les Coptes peuvent en tout cas compter sur divers soutiens. Parmi la société civile, comme au sein de la sphère politique, plusieurs groupes sont montés au créneau pour prendre leur défense. Mais cette solidarité de parole se traduira-t-elle en actes ? Ahram Online
LAURA CAPPON SUL FATTO
L’attentato contro la moschea di Bir al-Adb, oltre ad essere il più grave degli ultimi anni contro la popolazione civile in Egitto, segna un nuovo colpo contro la politica securitaria del presidente Abdel Fattah al-Sisi. Nonostante ad ora non ci sia alcuna rivendicazione, gli analisti puntano il dito sullo Stato Islamico, il cui nucleo più strutturato, il gruppo Wilayat Sinai, la Provincia del Sinai, è presente da tempo nel nord della penisola, per l’esattezza nella porzione di territorio che da Arish arriva sino al valico di Rafah.
I fedeli rimasti uccisi nell’attentato terroristico sono infatti sufi, musulmani che praticano una forma mistica dell’Islam, considerati eretici dalla parte più ortodossa dei musulmani sunniti, e abitano per la maggioranza il villaggio di Bir al-Adb. Negli ultimi mesi i militanti di WS avevano già attaccato l’area, uccidendo alcuni abitanti.
Lo Isis aveva già massicciamente colpito i sufi in diversi paesi mediorientali mentre lo scorso gennaio sulla rivista Rumiya, uno dei magazine di propaganda dell’IS, un anonimo emiro aderente a Wilayat Sinai dichiarava in un’intervista di 4 pagine che i sufi sono uno dei peggiori mali dell’Islam.
Sino ad oggi l’attacco con il numero di civili più alto era stato l’abbattimento, il 31 ottobre 2015, del jet russo partito dalla località turistica di Sharm el–Sheikh che aveva provocato la morte di tutti i 224 passeggeri a bordo.
Il gruppo estremista dall’inizio di quest’anno ha avviato anche una campagna contro i cristiani culminata contro le bombe alle due chiese di Tanta e Alexandria lo scorso aprile. In questa regione, Isis non ha perso né forza né territorio nonostante i proclami del governo e l’uccisione del suo leader Abu Duaa al-Ansari nell’agosto del 2016. Ciò nonostante restano poco chiare la struttura e la gerarchia dell’organizzazione, che secondo gli esperti continua a contare su circa 1000 miliziani nella penisola. Wilayat Sinai ha dimostrato di essere capace di sferrare attacchi sempre più complessi e in tutte le zone del paese.
Ma è soprattutto la penisola del Sinai a rappresentare, oggi, una sorta di buco nero in grado di mettere in ginocchio la propaganda di governo del presidente di Abdel Fattah al-Sisi che sulla lotta al terrorismo ha costruito la scalata al potere dopo il colpo di stato contro il presidente dei Fratelli Musulmani Mohammed Morsi e la vittoria alle presidenziali del 2014.
A nulla sono serviti la campagna militare «Il diritto dei martiri», lanciata nel settembre del 2015, che ha portato anche alla distruzione e all’allagamento dei tunnel al confine con Gaza e il black out mediatico imposto ai giornalisti. Dal 2013 è stato infatti vietato l’accesso ai corrispondenti stranieri mentre i reporter locali sono costantemente sotto minaccia da parte delle autorità. “I militari negano l’ingresso a giornalisti e ricercatori e evitano gli spostamenti dei residenti che abitano le zone che vanno da el-Arish al confine con la penisola di gaza”, spiega Allison L. McManus, direttore della ricerca del Tahrir Institute For Middle East Policy. “Tutte le persone che si occupano della penisola sono soggette a minacce da parte della autorità di sicurezza, alcune sono sotto processo. Inoltre, le leggi anti-terrorismo egiziane prevedono pene molto dure per chi entra in contatto con persone che dicono cose che divergono dalla versione governativa”.
L’attentato di oggi dimostra dunque che i 90 chilometri che separano la cittadina di al-Arish dal confine restano la croce del regime di al-Sisi. Un’area da sempre fuori controllo e, accusano i rappresentanti della popolazione locale, abbandonata dallo stato. A controllare l’area restano i residenti locali, popolazioni beduine che da sempre sono soggette a infiltrazioni estremiste e al traffico organizzato di armi, droga e persone.
Dopo gli attacchi tra il 2004 e il 2006 sul Mar Rosso a Taba, Sharm e Dahab, cittadine turistiche nel sud della penisola, l’allora presidente Hosni Mubarak, coadiuvato anche dal vicino governo israeliano, diede vita a una campagna che permise alle autorità di ristabilire parzialmente il controllo della zona. Ma la rivoluzione del 2011, che aveva provocato un nuovo momento di instabilità, e il ritiro delle forze di sicurezza egiziane dai territori al confine con la striscia di Gaza hanno incentivato la nascita di nuovi gruppi come Ansar bayt al-Maqdis (che nell’autunno del 2014 ha poi giurato fedeltà allo Stato islamico cambiando appunto nome in Wilayat Sinai), le brigate al-Furqan, Ansar al-Sharia, al Mourabitoun e altre organizzazioni minori.
Il futuro è dunque incerto: negli ultimi mesi si sono registrati anche degli scontri tra il gruppo di Jund al-Islam, affiliato ad al-Qaeda, e i miliziani di WS. Uno scenario complesso che preoccupa i palazzi del governo del Cairo, impotenti di fronte a un escalation terroristica senza precedenti.
di Laura Cappon | 24 novembre 2017 6