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 2017  novembre 24 Venerdì calendario

In Europa gli Stati escono dalle banche. In vendita 20 miliardi di asset

«Aaa, acquirenti di quote di banche statali cercansi». Dalla Germania al Portogallo, passando per la Gran Bretagna e la Spagna, il cartello è virtualmente affisso sulle sedi di alcune delle principali banche europee. Del resto sono tanti, in giro per il Vecchio Continente, gli istituti il cui socio pubblico è riuscito o sta cercando di uscire e monetizzare l’investimento fatto anni fa, magari all’apice della crisi finanziaria. Qualcuno, come in Gran Bretagna, vuole rilanciare i piani di vendita nonostante la Brexit. Qualche altro, come in Italia per il caso Mps, vede il traguardo nel medio termine, prima della scadenza quinquennale del piano di risanamento concordato con la Commissione. Ma per tutti i Governi il processo di vendita, prima o dopo, deve essere messo a terra per compensare il sacrificio fatto a suo tempo dai contribuenti, decisivo per il salvataggio. 
Il caso tedesco 
Il caso più evidente è quello tedesco, dove lo Stato sta cercando un compratore per Commerzbank. Affossata negli ultimi anni dalle acquisizioni di EuroHypo e Dresdner e da una concentrazione dell’attività nel business dello shipping, settore entrato in crisi, oggi la seconda banca privata tedesca ha dato mandato a Goldman Sachs e Rothschild per trovare un acquirente. Il fondo di stabilizzazione del governo di Berlino, primo azionista con il 15% del capitale (che ai valore attuali vale 2,25 miliardi), conta così anche di dare un colpo di acceleratore al riassetto del colosso bancario. Non che gli interessi del mercato manchino. Da tempo si rincorrono voci di abboccamenti che vanno da Bnp Paribas a Société Générale, passando da UniCredit (che però ha smentito) fino a Santander. Unica ipotesi credibile, per ora, è quella del Crédit Agricole, che ha ammesso di voler analizzare la questione. Certo è che Berlino conta di generare «un buon risultato finanziario». Cosa non facile, considerato che l’ingresso del Governo è avvenuto a quota 26 euro mentre il titolo oggi viaggia attorno ai 12 euro.
Londra cerca il bis 
Dalla Germania alla Gran Bretagna. Perché qua gli occhi sono tutti puntati su Royal Bank of Scotland: il Tesoro è entrato in possesso del 71% a valle di un crack causato in particolare dall’acquisizione di Abn Amro, rivelatosi un macigno insostenibile (che il Governo olandese ha assorbito, e di cui ha appena venduto il 7%, per 1,48 miliardi, scendendo al 56%). Dopo l’annuncio della privatizzazione arrivato a metà 2015, il processo su Rbs sembrava entrato in una fase di stallo, accentuato dalle incertezze legate alla Brexit. Proprio nei giorni scorsi, tuttavia, il ministero delle Finanze ha riacceso i riflettori sul dossier. E ha annunciato di voler puntare a vendere due terzi della quota dello Stato entro il 2019: 15 miliardi di sterline l’incasso finale individuato come obiettivo, da raggiungere a un ritmo di 3 miliardi all’anno fino al 2022-2023. A dare manforte a Londra sono del resto i risultati del processo di vendita di Lloyds Group, che ha generato un utile di 900 milioni di sterline dopo aver investito più di 20 milioni.
Le banche iberiche 
Lo Stato-padrone ha trovato una soluzione anche in Portogallo. È il caso di Novo Banco, istituto nato nel 2014 dalle macerie del Banco Espirito Santo. A tre anni dall’ingresso del fondo di risoluzione nazionale, l’istituto portoghese è finito nelle mani del fondo di investimento Usa Lone Star, che sta versando un miliardo in cambio del 75% del capitale. E ha promesso di raccogliere 400 milioni di Tier 2 sul mercato. Dettagli a fronte dello sforzo che servirà per il rilancio industriale, che non sarà banale: nei primi nove mesi dell’anno l’istituto lusitano ha perso 419 milioni, il 9% in più dello stesso periodo dello scorso anno. Migliori le condizioni della spagnola Bankia: dal 67% attuale, Madrid conta di scendere progressivamente, e ha già messo sul tavolo una cessione del 7-9 per cento. Una cessione graduale che dovrà essere fatta in parallelo con l’integrazione con Banco Mare Nostrum, anch’esso controllato dallo Stato, la cui finalizzazione dovrebbe avvenire entro la fine dell’anno, o al più tardi entro il 2018. Un tassello importante, quest’ultimo, per la razionalizzazione del sistema bancario spagnolo.