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 2017  novembre 24 Venerdì calendario

Per il rugby italiano un Castello di sogni

Spesso, molto spesso, i numeri aiutano a capire. Nel caso di Tommaso Castello servono solo a condire una sensazione netta, che accompagna in questi giorni quanto va ripetendo ai media il c.t. Conor O’Shea: «Ci siamo davvero. Vedo la luce alla fine del tunnel». La sensazione è che la famosa panchina corta dell’Italia si sia allungata. Di parecchio. Castello, a 26 anni, titolare con Figi e Argentina per il suo terzo e quarto cap, sarà lì, sulla linea di trequarti, anche contro il Sudafrica domani a Padova. Reduce da 6 match da 80 minuti con le Zebre e da altri due da titolare – con appena 6 minuti persi per sostituzione temporanea contro le Figi – con l’Italia. È una delle note liete di questo novembre azzurro, in cui quanto fatto (da capitano) con le Zebre è stato confermato. Un centro in vetta alle classifiche del Pro 14, secondo nei palloni portai avanti (106), nei turnover vinti (8) e fra i primi negli offload (8). Poi, il suo azzurro è stato a tratti abbagliante.
SPRINGBOKS Adesso l’asticella sale. Di fronte un Sudafrica ferito che punta a cancellare l’onta di un anno fa. Una disgrazia nazionale nell’Emisfero Sud, un giorno storico a Firenze. Castello ricorda: «Ero in un bar di Calvisano, ho visto la partita in tv insieme ad amici. Le Zebre non giocavano, ero libero e fu la serata perfetta. Rimanemmo a festeggiare fino a tardi. Giocarla, questa partita, è il massimo. Ci vorranno sfidare fisicamente nell’uno contro uno, sotto questo profilo sarà una battaglia. Ma il bello di questa Italia è che ci sono tanti giovani che non hanno paura. Attaccare senza paura di sbagliare è l’unico modo per crescere. Abbiamo fame. Accetteremo la sfida senza guardare il punteggio, ma solo il nostro piano di gioco. Mantenere la disciplina e la lucidità fino all’80’ sarà la chiave di volta del match. Li abbiamo già battuti, sappiamo che si può fare».
GRIFONE Alto 183 cm per 100 chili, genovese, tifoso sfegatato del Genoa, Castello è il primo rappresentante della famiglia a giocare a rugby. «Da ragazzino ero un ottimo calciatore. Centrocampista all’inizio, poi col passare del tempo e dei chili messi su, marcatore. Nel 2003 rimasi folgorato dal Mondiale giocato in Australia. Il rugby mi ha preso. I miei idoli? Adoravo Umaga e O’Driscoll. Come tutti, penso. No? Facevo le medie e chiesi a mio padre Marco di portarmi a fare anche un po’ di rugby. Mi accompagnò da alcuni amici al Cus Genova. Iniziai nell’Under 13 come ala, presto spostato a centro. Per un po’ praticai entrambi gli sport. Poi al Liceo ho dovuto fare una scelta. Non ho avuto dubbi, anche perché a forza di placcaggi avevo le idee confuse e nel calcio prendevo troppi cartellini gialli». Risata.
CARRIERA Da subito Castello si è messo in evidenza: in prima squadra col Cus nel 2010, da lì al Calvisano in Eccellenza, capitano giallonero dal 2015, in azzurro con l’Under 20 nel 2011, con gli Emergenti (capitano) nel 2012, alle Zebre prima da permit player e poi in pianta stabile, quest’anno capitano bianconero. Tutto questo non arriva per caso. L’ultimo Brunel lo inserì nel gruppo del Sei Nazioni 2016, pur venendo dall’Eccellenza. «Non giocai mai, ma respirai un po’ di rugby ad alto livello. Ci ho messo un po’ a guadagnarmi una maglia in Nazionale maggiore, ma sono ostinato e ho sempre cercato di migliorarmi. O’Shea alla prima convocazione mi fece debuttare da titolare a giugno 2016. Giocai coi Pumas e con gli Usa, una persa e una vinta, poi il c.t mi spiegò che non aveva spazio per me in un’Italia che puntava molto sul gioco al piede per occupare il terreno. Non era adatto alle mie caratteristiche. Io al massimo posso provare a fare un grabber – sorride -. E poi avevamo tante alternative di qualità fra i trequarti, vedi McLean spostato a centro, poi Morisi, Boni, Campagnaro, Benvenuti. Adesso però le cose sono cambiate, questa Italia attacca dai propri 5 metri, senza paura di rischiare contro avversari superequipaggiati. Lo fa con qualità, gestendo il possesso con efficacia e io in questo contesto posso dare tanto. Cosa ci manca? La pazienza e il cinismo quando entriamo nei 22 avversari. In questo momento, il migliore della mia carriera, so di poter aiutare. Perché sono un “produttore” di palloni, un portatore efficace e ho solidità difensiva». Laureato in Scienze Motorie a Pavia, è iscritto a Parma a Ingegneria: «Per vari motivi ho aspettato, ho rinviato, ma sono rimasto sul pezzo e non ho buttato via il tempo. Ora voglio realizzare tutti i miei sogni. Laurearmi in Ingegneria è fra questi». È il suo momento, è il suo anno. Si spera sia semplicemente un nuovo inizio.