Libero, 23 novembre 2017
Pure Hemingway è stato camerata. Per 6 mesi
Non bruciavano più la cicatrici delle ferite rimediate sul fronte italiano, a Hemingway, quando nel giugno del 1922 arrivò in Italia con la moglie Hadley e si incapricciò di conoscere Benito Mussolini. Mancavano quattro mesi alla Marcia su Roma, ma i giornali americani erano già rapiti da un’onda di entusiasmo quasi infantile nei confronti del futuro Duce: tutti avevano mandato almeno un corrispondente per esaminare lo strano evento del Fascismo e, quasi tutti inviavano in patria resoconti affascinati. Ai loro occhi, Mussolini sembrava il primo uomo in grado di mettere in riga una nazione che gli americani vedevano popolata da incontrollabili anarchici.
Questo fenomeno non Mussolini, ma come lo vedevano gli americani è l’oggetto di La scoperta dell’Italia. Il Fascismo raccontato dai corrispondenti americani (Marsilio, 494 pagine, 20 euro): una imperdibile analisi, frutto di dieci anni di lavoro sulle corrispondenze del tempo e su documenti d’archivio italiani e statunitensi, dello storico Mauro Canali, allievo di Renzo De Felice e docente all’Università di Camerino.
Prima degli anni Venti l’Italia non occupava il primo e neanche il quinto posto nell’interesse dei cronisti americani, ma nel caotico clima postbellico, il futuro dittatore fu visto oltreoceano come il baluardo contro la minaccia comunista, nonché la promessa, scrive Canali, di «una seria riforma del capitalismo, con l’aggiunta di elementi di umanitarismo sociale». Un Theodore Roosevelt latino.
Dunque, nel luglio 1922 Hemingway intervistò Mussolini per il Toronto Daily Star, e ne rimase irretito: «È un uomo grande, dalla faccia scura, con una fronte alta, una bocca lenta nel sorriso. Non è il mostro che è stato dipinto, non è come viene descritto, non è un rinnegato socialista, ha avuto molte buone ragioni per lasciare il partito».
Quanto agli altri, fino alle “leggi fascistissime” del 1925 e 1926, che svelarono la vera natura del regime, furono in pochi a non farsi abbagliare. Mussolini, scrive ancora Canali, «veniva descritto come un condottiero abile e spregiudicato, che meritava l’applauso per le origini modeste, per le notevoli promesse di cambiamento e per la capacità di mettere a tacere i vecchi politicanti».
Queste suggestioni travolsero anche giornalisti e intellettuali di valore, come Ezra Pound, o Arnaldo Cortesi del New York Times, italiano naturalizzato americano che nel 1946 vincerà il Pulitzer; ma il fenomeno si ripeté indipendentemente dal retroterra culturale da cui gli inviati provenivano e anche da quanto erano sbarcati in Italia preparati, spesso poco. Il caso più esemplare è Ida Tarbell, detta “la rossa radicale”: non una sprovveduta, era una giornalista che con le sue battaglie contro il colosso Standard Oil aveva costretto il governo federale a promulgare una legge antitrust. La Tarbell, digiuna di storia italiana, venne indottrinata prima della sua partenza con chili di dispacci, rapporti e documenti diplomatici filo fascisti forniti dalla stessa segreteria di Stato federale, preoccupata per la sua penna corrosiva. La Tarbell ci cadde e, alla fine di un tour organizzato come una propaganda, il suo ritratto dell’Italia fu di un Paese felice, sviluppato e dove tutti ridono.
Per Hemingway, che anche a vent’anni era già di un’altra pasta, invece la fascinazione durò solo sei mesi, fino a una conferenza stampa di Mussolini a Losanna, a gennaio 1923. Lì qualcosa si ruppe, e lo scrittore, osservando il comportamento autoritario e sfuggente del dittatore quando veniva incalzato su politica e democrazia, capì che la retorica del regime era un bluff. In un terzo articolo sullo Star cambiò avviso, ricoprendo di sarcasmo il Duce, che si era fatto trovare «seduto alla scrivania, con il suo famoso cipiglio, assorto nella lettura». Avvicinatosi per vedere in quale libro egli fosse immerso, Hemingway scrisse che si trattava di «un dizionario francese-inglese, tenuto a rovescio». E da quel momento fu inviso al regime, tanto che nel 1938 da Roma venne pianificata un’aggressione squadrista allo scrittore in terra statunitense. Andò male, perché gli incaricati dell’azione non sapevano che Hemingway, di ritorno dalla Spagna, sarebbe passato da New York solo per proseguire il viaggio verso la sua tenuta a Key West, in Florida, inafferrabile.
In realtà, esaurita la folgorazione iniziale, col trascorrere del tempo i corrispondenti stranieri in Italia caddero in una ragnatela di blandizie e minacce, alla quale solo un arcitaliano come Curzio Malaparte poteva far fronte: Canali racconta come, dai documenti da lui trovati, il fascistissimo scrittore fosse diventato un informatore dei servizi americani già dal 1939...
Per la verità, uno che non cadde nella trappola ideologica del Fascismo neanche per un minuto ci fu: Francis Scott Fitzgerald. Ma non per motivi politici: nel 1924, durante il suo soggiorno a Roma con la moglie Zelda, venne fermato dai carabinieri, malmenato e costretto in prigione per alcune ore. Commentò così: «Chiunque fosse illuso dallo pseudodinamismo sotto Mussolini è illuso dall’ultima spasmodica contrazione di un cadavere».