La Stampa, 23 novembre 2017
Brian Sacchetti: «Con papà ct torno in Nazionale ma non sono un raccomandato»
Due Sacchetti in Nazionale, uno gioca e l’altro è il ct, evento senza precedenti nel basket azzurro. Meo, 64 anni, esordisce domani a Torino contro la Romania alla guida dell’Italia nella quale ha chiamato anche il figlio Brian, 31 anni, leader in serie A con Brescia, che non vestiva l’azzurro dal 2009, in due amichevoli con il ct Recalcati senza essere poi confermato dai successivi coach Pianigiani e Messina.
Brian, si sente figlio di papà?
«Ma no! – ride – Anche se in tanti, amici e non, mi fanno battute e mi prendono in giro, dandomi del raccomandato, qualcuno seriamente, altri per scherzo».
Lei sta al gioco o se la prende?
«Io sono strafelice e basta, ma credo che mio padre sia al di sopra di ogni sospetto, non mi avrebbe mai chiamato per nepotismo, ne sono certo. Del resto lo conoscete tutti no?».
Certo. Ma com’è essere in Nazionale con il papà nel ruolo di ct?
«Strano. Bello. Per anni sono stato allenato da mio padre, a Castelletto Ticino e Sassari, ma in maglia azzurra è diverso».
Sia sincero: ci credeva?
«No, ma un po’ ci speravo. E per me, a 31 anni, è magnifico».
È vero che è stato suo padre a chiamarla Brian?
«Sì. Io dovevo essere femmina e appena nato mia madre, che era provata dal parto, disse a mio padre di pensarci lui al nome. Papà stravedeva per Brian Winters, un grande tiratore della Nba. Nel frattempo mamma aveva deciso per Simone, ma ormai avevano registrato il mio nome come Brian».
Anche lei è un tiratore, è per questo che ha convinto il ct?
«Credo di sì, ma forse anche perché Brescia, dove gioco, sta andando molto bene».
Lei è nato a Moncalieri, vicino a Torino, e torna in Nazionale nella sua città. Sembra un film...
«Qui ho un sacco di parenti di mia madre e mi sento a casa. Sono legatissimo a Torino».
È meglio o peggio avere come allenatore il proprio padre?
«Tecnicamente per me è più difficile, perché papà non mi perdona niente e mi riprende più degli altri. Umanamente invece è un vantaggio, perché lui ha sempre una parola giusta».
Lei, che lo conosce bene, ci dica: com’è suo padre come tecnico?
«È un ct di... peso! Scherzo, dai. Ha un approccio molto familiare, ma questa volta la parentela non c’entra. Sa sdrammatizzare e leggere bene le situazioni, conosce il parquet, dà libertà ai giocatori ma sempre con il giusto rigore. Vuole intensità e aggressività, senza limitare però l’estro dei singoli. E poi ti trasmette l’emozione e la passione di chi è stato grande giocatore, anche in Nazionale, e il culto della maglia azzurra».
E mamma, che di nome fa Olimpia forse non a caso, che dice del figlio azzurro e del marito ct?
«È tranquilla, contenta, ma non interviene. Mi ha solo detto di fare quello che so e “in bocca al lupo”. Ma scommetto che è emozionata anche perché io sono nato qui e a Torino papà è diventato un grande giocatore».