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 2017  novembre 23 Giovedì calendario

Mentre morivano

Ratko Mladic, che è stato condannato all’ergastolo tra l’altro per il massacro dei musulmani di Srebrenica, era un mostro – se vi piace la qualifica – ma c’è stato qualcosa di collettivamente mostruoso, soprattutto nella nostra attitudine di spettatori indolenti della storia. Perché è vero, i primi spettatori furono i Caschi blu, si scansarono e lasciarono fare, ma da qualche anno gli europei si affacciavano pigramente alla tv per l’aggiornamento quotidiano, con quel cordoglio fugace da utenti del tg. L’assedio della scandalosa, multietnica Sarajevo passò così sui nostri schermi. Soprattutto noi, che in quei primi Anni Novanta eravamo ragazzi, vivevamo tutto questo come un accidente residuo, una coda sanguinosa ma periferica del secolo breve: prevaleva l’eccitazione del mondo nuovo, il crollo del muro di Berlino soltanto l’altroieri, la fine inebriante e selvaggia della Prima repubblica, la nascita dell’Europa col dissolversi dei confini. Non avevamo capito niente. In quei giorni di Srebrenica il nostro grande Enzo Bettiza stava scrivendo il suo capolavoro, «Esilio», e la storia della sua famiglia di Spalato, italiana con innesti serbi e croati, in cui convivevano irredentisti e cosmopoliti, ortodossi e musulmani, e si parlava italiano e tedesco e croato. Le memorie si disintegravano nella cronaca perché la guerra di Jugoslavia non era la fine del passato ma l’inizio del futuro. Stavamo ricominciando a tirare su muri, a dividerci per etnia, per lingua, per religione e oggi ancora non ci siamo, ma il compimento è vicino.