la Repubblica, 23 novembre 2017
Marine Le Pen, il mesto tramonto di nostra signora dei populismi
PARIGI Il tramonto di Nostra Signora dei populisti è crudele. «Fate tutti le stesse domande», «questa è una sua opinione», «ho già parlato abbastanza».
Marine Le Pen è tornata a mostrare il volto più cattivo.
Parafrasando Gloria Swanson potrebbe dire: «Io sono ancora grande, è la politica che è diventata piccola». La presidente del Front National è accolta da poche centinaia di fedeli in una delle tante riunioni per «rifondare» il partito. Dopo la sconfitta, non si è ancora ripresa. Prima un lungo silenzio, adesso un mesto Tour de France tra i militanti delusi. Continua a sorridere, lo sguardo perso dietro ai nuovi occhiali.
«Abbiamo davanti un’avventura entusiasmante», ripete ai cronisti, quasi cercando di autoconvincersi.
Fino a qualche mese fa, ovunque andasse era assediata da fotografi e telecamere, presentata come il pericolo numero uno per la Francia e l’Europa. Il lepenismo era diventato un modello per altri movimenti.
Oggi è scomparsa o quasi dai radar, all’estero nessuno la cita più, in patria non accende passioni, nel ruolo mediatico di tribuno e oppositore si vede solo Jean-Luc Mélenchon, che pure ha preso meno voti di lei.
«La campagna elettorale è stata di rara violenza», commenta il compagno Louis Aliot. «Marine sta cercando di ricostruirsi, serve del tempo», ci racconta il numero due del partito. Le Pen soffre di mal di schiena, dovrà forse operarsi ed è affetta da emicranie oftalmiche che ha cominciato ad avere nei giorni prima del voto.
Raccontano che abbia pianto la mattina del grande duello televisivo contro Emmanuel Macron, il 3 maggio. Si è svegliata con la vista annebbiata, ha dovuto chiamare in emergenza un medico. Il suo staff ha tentato invano di spostare la trasmissione. Alla fine è stata una débâcle. Lei sempre così sicura, si è confusa più volte, non ha saputo spiegare come uscire dall’euro, ha farfugliato cose incomprensibili.
«L’ambiguità sull’euro ha spaventato molti elettori», riconosce Aliot dando la colpa a Florian Philippot, l’altro ex numero due del partito. «Ci ha portato allo sbaraglio, ho provato ad allertare – ricorda eppure Marine non mi ascoltava, diceva che ero geloso».
Philippot è stato l’ombra di Le Pen per quasi sei anni, cervello della “dédiabolisation”, lo sdoganamento del partito, teorico della svolta sociale che ha portato alla conquista del nord operaio. Secondo lui la responsabilità della sconfitta è soltanto di Le Pen. Nella disastrosa performance davanti a Macron, ha calcolato, sono stati bruciati due milioni di potenziali voti.
Quella sera si è rotto un incantesimo. La Regina è rimasta nuda. «Era stanca e non sufficientemente preparata», spiega Philippot che ha sbattuto la porta dopo che Marine ha cambiato idea sul Frexit. «Marine non è mai stata una donna di convinzioni», chiosa l’ex braccio destro che intanto ha fondato il suo movimento, “les Patriotes”. Anche la nipote Marion ha abbandonato il Titanic, ufficialmente per tornare a studiare e lavorare nel settore privato.
Oltre alle vendette personali, Le Pen deve affrontare i guai giudiziari, con le inchieste sugli assistenti fittizi all’europarlamento, e nuovi problemi finanziari. Ieri ha denunciato una «fatwa bancaria» contro il partito dopo che le sono stati improvvisamente chiusi i conti sia da Hsbc che da Société Générale. «Ne abbiamo viste tante in passato, rappresentiamo pur sempre 10,5 milioni di elettori», commenta Aliot, alludendo a quel 33,9% del ballottaggio: comunque un record. E in politica, si sa, dopo la morte c’è spesso la resurrezione. In vista del congresso di marzo, il Front National ha mandato ai militanti un questionario con 80 domande a risposte multiple. Cancellato lo spauracchio dell’uscita dall’euro, la linea politica si concentra su immigrazione, frontiere, Islam.
Papà Jean-Marie, con cui la figlia continua a non parlare, sarebbe stato contento. Anche il tabù delle alleanze è saltato.
Aliot fa un vago riferimento a Matteo Salvini. «Mi sembra che si sia mosso piuttosto bene, no?». Le Pen ha cominciato a corteggiare, per ora rifiutata, il prossimo leader Laurent Wauquiez, che sposterà ancora più a destra il baricentro dei Républicains.
Al congresso, poi, ci sarà l’addio al nome Front National. Basterà? Il politologo Pascal Perrineau ha dei dubbi: «Chiamarsi Le Pen non è più un vantaggio ma un handicap». Finora la leadership non è contestata, eppure la prima a dubitare è lei. «Marine potrebbe non ripresentarsi alle presidenziali», confessa Aliot.
«Non è attaccata alla poltrona, se qualcuno vuole farsi avanti...».