Il Sole 24 Ore, 23 novembre 2017
Le indagini sul cobalto «sporco»
Dalle mani di minatori bambini fino al London Metal Exchange. Il cobalto «sporco», prodotto con lo sfruttamento di minori nella Repubblica democratica del Congo, comincia a preoccupare la borsa londinese, che ha avviato un’indagine per accertare la provenienza del metallo consegnato nei suoi magazzini. Lo rivela il Financial Times, che è venuto in possesso di una lettera che il Lme ha inviato ai fornitori 12 giorni fa, invitandoli a chiarire entro il 1° dicembre le pratiche con cui gestiscono e prevengono i rischi di violazione dei diritti umani: un tema molto delicato nel caso del cobalto.
Il metallo, materiale chiave per le batterie di auto elettriche e smartphone, oggi viene estratto per oltre il 60% nel Paese africano, uno tra i più poveri, violenti e corrotti del mondo, dove un quinto della produzione – denuncia Amnesty International – avviene in modo artigianale, con il frequente impiego di bambini, anche di appena sette anni di età.
Nella lettera il Lme sostiene che l’indagine «non è legata a nessun particolare produttore o marchio», ma che è mossa dalla «crescente attenzione dell’industria dei metalli verso le forniture responsabili lungo tutta la filiera». Due trader hanno tuttavia informato l’Ft, in forma anonima, di aver inoltrato un reclamo alla borsa londinese dopo aver notato che nei suoi magazzini – a partire dall’estate scorsa – avevano cominciato ad essere consegnate partite di cobalto della cinese Yantai Cash Industrial, sospettata di rifornirsi di metallo grezzo da minatori artigianali del Congo.
Il regolamento del Lme definisce gli standard qualitativi dei metalli consegnabili in borsa, ma al momento non prevede nulla riguardo all’origine. Per altri metalli il problema non si era posto. Lo stesso cobalto solo di recente è uscito dall’ombra, grazie all’«effetto Tesla» che ne ha raddoppiato il prezzo in un anno, a più di 60mila $/tonnellata.
Ricostruire le pratiche estrattive non è sempre facile, perché gran parte del cobalto è raffinato e commercializzato da società cinesi. Ma le difficoltà non sono una scusante a giudizio di Amnesty, che ha appena pubblicato un rapporto in cui denuncia che i grandi utilizzatori di batterie non fanno abbastanza sul fronte della tracciabilità delle forniture.