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 2017  novembre 23 Giovedì calendario

Sirene russe nei Balcani ancora orfani dell’Europa

Una generazione è passata dalla disgregazione della Jugoslavia di Tito, lo stato più multietnico e multi-religioso d’Europa, ma l’effetto dirompente di quello shock profondo e prolungato con un decennio di guerre non è finito. Siamo a 22 anni dal massacro di Srebrenica in cui il generale serbo Ratko Mladic uccise 8mila musulmani bosniaci, 18 anni sono trascorsi della guerra del Kosovo: i Balcani non hanno dimenticato tragedie ancora incise nella memoria, ferite che non si richiudono. Conflitti che hanno fatto 200mila morti e un milione di profughi, diviso popoli, città, villaggi e persino famiglie.
La condanna all’ergastolo di Mladic da parte del tribunale dell’Aja per genocidio e crimini di guerra solo in apparenza chiude il cerchio di una tragedia.
Nelle due entità che compongono la Bosnia-Erzegovina – la Republika Srpska (Rs), a maggioranza serba, e la Federazione croato-musulmana (Bh) – la pensano in maniera completamente opposta. Per la componente serba si tratta della conferma di un accanimento antiserbo, per i musulmani è solo la giusta pena per i suoi crimini feroci.
La condanna di Mladic dovrebbe rappresentare invece l’inizio di una nuova riflessione sul futuro dei Balcani. L’Europa punta su una pacificazione dei Balcani filtrata attraverso l’orizzonte o il miraggio dell’integrazione europea, opportunamente oliata da aiuti per centinaia di milioni di euro, secondo le promesse fatte al vertice di Trieste sui Balcani del luglio scorso: dove passano le merci, è il mantra, non passano i soldati. Il problema è che nei Balcani, sia pure in direzione diverse, passa anche ben altro.
Dei Balcani oggi si parla per la chiusura delle rotte dei migranti voluta dalla Germania con la Turchia, che ha deviato i flussi verso la Libia, e per il futuro ma ancora lontano ingresso di sei Paesi che cercano motivazioni per coesistere.
Ma i Balcani tornano periodicamente come una sorta di non troppo velata minaccia alla sicurezza dell’Europa, soprattutto negli ultimi anni per la presenza dei jihadisti: quasi un quarto dei militanti dell’Isis venivano da Bosnia, Albania, Kosovo e Macedonia.
Al “Processo dei Balcani occidentali”, nato a Berlino nel 2014, era stato affidato dall’Europa l’obiettivo di contribuire alla stabilità e integrare gradualmente i Paesi candidati, Albania, Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Fyr Macedonia, Montenegro e Serbia, nell’Unione. Ma gli Stati balcanici appaiono ancora come gli orfani del continente, il progetto europeo, sempre meno solidale, sembra perdere potere d’attrazione mentre in alcuni Paesi come la Serbia guadagna terreno, qui come in Medio Oriente, l’influenza della Russia. Eppure gli investimenti italiani in Serbia, per esempio, danno lavoro a quasi 30mila persone
Mosca, dopo l’annessione della Crimea, ha rinnovato gli sforzi per coinvolgere gli Stati della regione e in questa ottica va letta l’adesione del Montenegro alla Nato, un membro assolutamente irrilevante ma il cui ingresso ha il solo scopo di infastidire la Russia. Dal centro “umanitario” russo-serbo di Nis al passaggio del Turkish Stream, alle forniture di armi russe a Belgrado quasi senza contropartita economica, Mosca ritiene i Balcani un’area strategica da recuperare: si dimentica un po’ troppo facilmente che la base Usa in Kosovo era nel ’99 il punto più a Est raggiunto dagli americani dopo la seconda guerra mondiale.
Belgrado ha un accordo di libero scambio con Mosca cui dovrebbe rinunciare se entrasse nell’unione doganale. I serbi hanno detto che davanti a una scelta tra Europa e Russia sceglieranno l’Unione europea. Anche se la Serbia dopo la vittoria alle presidenziali di Aleksandar Vucic ha imboccato una linea filo-occidentale, questa è un’affermazione che sembra più tattica che altro. La Serbia vuole entrare nell’Unione ma allo stesso tempo si rifiuta di aderire alla Nato che rovesciò su Milosevic 22 milioni di tonnellate di bombe.
La questione albanese-kosovara-serba è il focolaio perenne dei Balcani che potrebbe riaccendere la regione insieme alla Bosnia, Paese diviso con legami tra le diverse etnie praticamente inesistenti. In questo contesto riemergono i fantasmi del passato balcanico, pulizie etniche, odi atavici, che si manifestano in coincidenza con l’instabilità interna.
Riaffiora così il nazionalismo serbo, anche se Vucic ha avuto un incontro, assai mediatizzato, con il presidente turco Recep Tayyp Erdogan nel Sangiaccato davanti a migliaia di albanesi: un vertice d’affari destinato però anche a frenare l’idea dirompente di Grande Albania (l’unione tra Tirana e Pristina con effetti su Macedonia e valle albanese di Presevo in Serbia).
Se tutte le rivendicazioni etniche e territoriali fossero soddisfatte i Balcani dovrebbero avere un superficie doppia di quella attuale. L’Europa, con frettolosi riconoscimenti statuali su pressione tedesca, negli anni ’90 contribuì allo sfascio della Jugoslavia, poi ha rimediato con missioni militari e interventi economici: non deve dilapidare il capitale di credibilità accumulato.