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 2017  novembre 22 Mercoledì calendario

La classe media tradita dalla globalizzazione

Se volete capire perché in Europa e negli Stati Uniti c’è tanta gente arrabbiata al punto da votare Donald Trump o Marine Le Pen, dovete guardare un grafico che spiega più di qualunque analisi sociologica sul populismo. È la “curva dell’elefante” (si intravede una proboscide) che trovate in questa pagina, frutto di un mastodontico lavoro sulla disuguaglianza dell’economista Branko Milanovic, di cui esce ora per Luiss University Press il nuovo libro, Ingiustizia globale.
Branko Milanovic è reduce da uno sforzo titanico, rendere confrontabili i redditi di tutti gli individui del mondo. Prima ha combinato insieme analisi campionarie condotte nei diversi Paesi, grazie anche a microdati da poco disponibili. Poi ha dovuto uniformarne il valore, perché 10 dollari permettono di acquistare più cibo in India che in Nigeria e quindi bisogna considerare questi redditi in parità di potere d’acquisto, tenendo conto anche dei tassi di cambio tra le diverse valute. Questo lento e complesso lavoro statistico permette ora di confrontare a livello mondiale gli individui e non soltanto i Paesi (compito molto più facile, perché basta considerare il Pil aggiustato per cambi e potere d’acquisto).
Il risultato che vedete in questa pagina è una efficace sintesi del cambiamento sociale degli ultimi decenni. Considera l’aumento dei redditi reali in parità di potere d’acquisto tra 1988 e 2008. Sull’asse verticale è indicata la variazione (20 significa aumento del 20 per cento), sull’asse orizzontale c’è la divisione in percentili della popolazione mondiale: il miliardario George Soros appartiene all’1 per cento più ricco e quindi sta all’estrema destra del grafico, un cittadino dello Zimbabwe senza lavoro e senza casa è rappresentato all’estremo opposto. Il grafico dimostra che per le persone che appartengono all’80esimo percentile, cioè all’80 per cento più ricco del mondo, in questi trent’anni il reddito non è cresciuto per nulla, è rimasto stagnante. Quella è la classe media occidentale: i trent’anni della globalizzazione sono passati invano, è rimasta stagnante mentre osservava il mondo intorno cambiare e le sue certezze di stabilità crollare, per colpa di cambiamento tecnologico e globalizzazione. Ci sono infatti due picchi nel grafico: quello all’estrema destra indica che per chi sta nei percentili più elevati della distribuzione del reddito – il famoso top 1 per cento e dintorni – c’è stato un aumento di quasi il 60 per cento. Per i più ricchi, insomma, il trentennio della globalizzazione ha coinciso con un miracolo economico selettivo. L’altro picco è quello che si nota poco oltre la soglia del reddito mediano, cioè tra chi si colloca appena sopra la metà della scala globale del reddito. Questi individui sono i veri vincitori della globalizzazione perché hanno visto i propri redditi reali crescere di oltre il 70 per cento: si tratta della nuova classe media asiatica, indiana ma soprattutto cinese.
Il mondo assomiglia sempre meno a quello che abbiamo conosciuto nel XX secolo: stiamo tornando all’Ottocento, le disuguaglianze tra Paesi si riducono mentre crescono quelle all’interno di ciascuno Stato. Nella sintesi di Branko Milanovic, il Novecento ha segnato il passaggio da Karl Marx a Frantz Fanon. Ai tempi di Marx i proletari di tutto il mondo si somigliavano e quindi dovevano unirsi, quando nel 1961 Fanon pubblica I dannati della terra faceva una enorme differenza l’essere in fondo alla scala sociale in Francia o a Calcutta. Oggi, nel XXI secolo, di nuovo conta la classe sociale mentre si può essere classe media in Cina o in India come in Italia (anche se con redditi che in valore assoluto sono molto diversi).
Secondo l’influente libro di Thomas Piketty, Il Capitale nel XXI secolo, queste dinamiche sono il prodotto di leggi intrinseche al capitalismo, i rendimenti del capitale sono sempre maggiori del tasso di crescita dell’economia reale, quindi, col tempo, i ricchi che hanno soldi da investire diventeranno sempre più ricchi. I decenni del Novecento in cui la disuguaglianza si è ridotta sono l’eccezione alla regola: soltanto eventi esterni alle dinamiche dell’economia possono contrastare queste leggi ferree del capitalismo. In assenza di guerre o pestilenze, la disuguaglianza aumenterà.
Nel suo libro Ingiustizia globale Branko Milanovic sostiene una tesi diversa: “Un livello di disuguaglianza molto elevato alla fine diviene insostenibile, ma non si abbassa da solo, genera piuttosto processi che portano alla sua diminuzione, processi come le guerre, i conflitti sociali e le rivoluzioni”. Perché la disuguaglianza non si evolve secondo “onde”, come sosteneva l’economista Simon Kuznets, la storia ha dimostrato che l’aumento di disparità tra i redditi non è il prodotto di una fase temporanea che precede un’armonia di benessere quando tutti raggiungono una certa soglia. La disuguaglianza è prima scesa, nel dopoguerra, poi dagli anni Ottana ha ricominciato ad aumentare. Le “onde di Kuznets” sono in realtà dei “cicli”, sostiene Milanovic, la disuguaglianza cresce e poi genera gli anticorpi che la faranno diminuire così il ciclo potrà ricominciare.
Troppe previsioni si sono rivelate sbagliate, negli ultimi decenni, quindi Milanovic non si spinge a immaginare nel dettaglio che forma prenderà la livella. L’ultima volta le disuguaglianze sono state appianate dalla Seconda guerra mondiale e dagli strumenti di welfare state che l’Occidente ha sviluppato come antidoto alle insicurezze che favorirono la guerra. La speranza è che queste protezioni siano abbastanza efficaci da rendere la prossima correzione meno traumatica.