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 2017  novembre 22 Mercoledì calendario

Cassa integrazione, prestito ponte. Per Alitalia le regole non valgono

All’inizio dello scorso mese di ottobre, Alitalia ha chiesto ai ministeri competenti la proroga della cassa integrazione straordinaria (Cigs), in parte a rotazione e in parte a zero ore, per il semestre novembre 2017-aprile 2018 giustificandola con la necessità di “proseguire sulla strada del contenimento dei costi, teso a rendere l’azienda quanto più possibile economicamente sostenibile, salvaguardando al contempo la piena operatività” del vettore. La richiesta iniziale è risultata superiore rispetto a quella utilizzata nei sei mesi precedenti in considerazione del minor traffico della stagione invernale e riguardava inizialmente 1.800 addetti equivalenti a tempo pieno, oltre 400 in più rispetto al semestre precedente, di cui 1.230 unità del personale di terra e 570 unità del personale di volo, per un terzo piloti e due terzi assistenti di volo. A seguito di questa richiesta è stata aperta una consultazione tra azienda e sindacati che ha portato a un accordo, sottoscritto a fine ottobre dalla quasi totalità delle sigle che rappresentano i lavoratori, in base al quale il numero di dipendenti per cui sarà attuata la cassa integrazione nel semestre è stato ridotto a 1.600 unità, di cui 1.030 di terra, 200 in meno rispetto alla richiesta aziendale, e 570 di voli, tutti quelli previsti in origine.
Per effetto di questo accordo siamo di fronte a un fatto certo e a tre aspetti problematici conseguenti: la certezza è che i costi di queste 1.600 persone per i prossimi sei mesi non saranno a carico dei conti di Alitalia ma di qualcun altro. Le tre domande conseguenti sono tuttavia di un certo interesse: la prima è chi paga; la seconda su chi ricade effettivamente l’onere e la terza chi controlla che questo strumento di sostegno sia effettivamente necessario, nel caso specifico come negli altri, e non sia oggetto di usi impropri e generatore di distorsioni economiche ai danni del mercato e della concorrenza. La prima domanda ha una risposta facile: a pagare è l’Inps, come stabilito dall’art. 19 del d.l. 158 del 2015 che regola lo strumento. Su chi ricade l’onere? In teoria su un contributo pari allo 0,90% delle retribuzioni lorde pagate dalle imprese alle quali lo strumento della Cigs risulta applicabile ma non è detto che esso sia sufficiente. Un fatto è comunque certo: l’onere ricade in primo luogo su imprese italiane e lavoratori non appartenenti allo stesso settore di Alitalia, dato che i maggiori concorrenti del vettore di bandiera sono stranieri e sfuggono pertanto al medesimo, e in seconda battuta sul contribuente, attraverso il sostegno della finanza pubblica ai programmi assistenziali dell’Inps. Non dovremmo pertanto stupirci che i soggetti economici dell’uno e dell’altro gruppo si stiano domandando per quali ragioni debbano farsi carico dei passati errori gestionali di Alitalia. Essi troverebbero peraltro almeno parziale soddisfazione nel sapere dell’esistenza di controlli adeguati sull’applicabilità dello strumento a ogni azienda che lo chiede, Alitalia compresa.
Chi dovrebbe controllare lo ha fatto e a quali valutazioni è pervenuto? Il d.l. 158 stabilisce che la Cigs può essere chiesta in presenza di riduzione dell’attività lavorativa determinata da: i) ristrutturazione aziendale; ii) crisi aziendale; iii) contratto di solidarietà. Nel caso di Alitalia non può che trattarsi del secondo caso, dovendosi escludere il primo in conseguenza della scelta dei commissari straordinari di mettere in vendita l’azienda anziché procedere alla sua ristrutturazione. Nel caso di crisi aziendale, tuttavia, il d.l. 158 richiede che “Il programma di crisi aziendale (…)deve contenere un piano di risanamento volto a fronteggiare gli squilibri di natura produttiva, finanziaria, gestionale o derivanti da condizionamenti esterni. Il piano deve indicare gli interventi correttivi da affrontare e gli obiettivi concretamente raggiungibili finalizzati alla continuazione dell’attività aziendale e alla salvaguardia occupazionale”. Peccato che di questo piano non vi sia attualmente traccia nel caso in oggetto. E di quali siano esattamente gli squilibri non si sa nulla, essendo scomparso il documento che avrebbe dovuto indicarli con esattezza, il bilancio d’esercizio 2016. Il previsto piano di risanamento esiste ma non è stato reso pubblico? Oppure il ministero del Lavoro ha concesso la Cigs ad Alitalia sulla fiducia? E siamo proprio certi che in Alitalia vi sia un eccesso di personale rispetto ai livelli attuali di produzione dell’azienda?
Per accertarlo è sufficiente verificare l’utilizzo che i grandi gruppi europei fanno del fattore lavoro in funzione di differenti indicatori dimensionali. Le imprese aeronautiche dei Gruppi Lufthansa, Air France-Klm e IAG (British, Iberia, Vueling e Air Lingus) impiegano nel loro insieme più di 270 mila dipendenti e circa 1.700 aerei complessivi coi quali effettuano 217 mila voli mensili, offrono in un anno più di 860 miliardi di posti km a bordo e realizzano quasi 80 miliardi di fatturato. I rapporti tra il personale utilizzato e questi indicatori dimensionali sono i seguenti: 16 mila dipendenti ogni 100 aerei in flotta, 12.500 dipendenti ogni 10 mila voli mensili, 3.200 ogni 10 miliardi di posti km offerti e 3.400 ogni miliardo di fatturato. Qual è, applicando questi stessi parametri ai dati dimensionali di Alitalia ma tenendo conto che la capacità del suo areo medio è il 30% in meno rispetto a quella dei grandi gruppi europei, il fabbisogno di personale del vettore nazionale? Il dato che viene fuori è sorprendente: da un minimo di 12 mila a un massimo di 14.900 dipendenti, con un valore medio dei quattro indicatori pari a 13.700. Invece i dipendenti effettivi di Alitalia sono solo 11 mila, dei quali 1.600 posti in cassa integrazione equivalente a zero ore. Il costo per le casse pubbliche dei 1.600 dipendenti è stimabile in 80 milioni di euro su base annua, un esborso in favore di Alitalia che si aggiunge al prestito ponte di 600 milioni, da poco lievitato a 900 e che non appare giustificato alla luce dei dati precedenti.