La Stampa, 22 novembre 2017
Maurizio Landini prepara lo sciopero: «Non facciamo politica il governo lascia le briciole». Intervista
Maurizio Landini, segretario confederale Cgil, sulle pensioni vi si accusa di tirare la volata alla sinistra anti-Pd. È così?
«Macché. Noi esprimiamo un esplicito dissenso sindacale sulle scelte che il governo ha fatto sulle pensioni. Abbiamo presentato un anno e mezzo fa una piattaforma unitaria e abbiamo negoziato sulla base di un accordo siglato col governo. Non c’è nessun disegno politico e non sosteniamo nessuna forza politica. Ci rivolgiamo a tutti i partiti, perché il Parlamento sovrano cambi quelle norme. Poi se una forza politica sostiene le richieste unitarie, ne saremo felici. Se il Parlamento cambierà le pensioni non fa un favore a noi, ma alle persone che lavorano».
Eppure Anna Maria Furlan, leader della Cisl, dice che dei miglioramenti concreti sono stati ottenuti...
«Tutti insieme avevamo avanzato delle richieste in tema di pensioni. La piattaforma di Cgil-Cisl-Uil chiedeva una pensione dignitosa e di garanzia per i giovani, il riconoscimento del lavoro di cura e del disagio per le donne che hanno figli, un’uscita flessibile tra 62 e 67 anni, stabilire il diritto alla pensione di anzianità dopo 41 anni di lavoro, fermare il meccanismo di innalzamento dell’età pensionabile. Alcune di queste richieste erano impegni previsti nell’accordo tra noi e il governo di un anno fa. Ebbene, le cose concesse dal governo sono briciole. Non è neanche vero che queste misure costano 300 milioni, non è così. Il governo ci aveva proposto un confronto per correggere gli errori fondamentali della riforma Fornero, e gli avevamo dato credito. Ma come ha detto il ministro dell’Economia Padoan, tutto si è fermato di fronte a vincoli europei che non si vogliono mettere in discussione».
Che non si possono, forse, mettere in discussione…
«A parte che bisogna vedere, mi pare che anche in questa legge di Bilancio il governo continui a dare molti soldi a chi vuole: tanti soldi per una decontribuzione che non creerà lavoro, l’Iva bloccata anche per i beni di lusso, tanti finanziamenti e bonus a pioggia. Vuol dire che un po’ di risorse ci sono: ma vengono usate in un modo, e non in un altro. Noi del sindacato abbiamo ancora un rapporto con le persone, e la gente se lo ricorda ancora che quando venne approvata la riforma Fornero ci siamo limitati a fare tre ore di sciopero. Ora abbiamo presentato una piattaforma e siamo autonomi nei confronti di qualsiasi governo; dobbiamo dire che quello che è stato proposto è insufficiente, e che per quanto ci riguarda la partita delle pensioni rimane aperta».
Sabato 2 dicembre scenderete in piazza?
«Sara una giornata di mobilitazione nazionale della Cgil con cinque manifestazioni: a Torino, a Roma, a Bari, in Sicilia e in Sardegna. In tante aziende in questi giorni ci sono state fermate, assemblee e scioperi. I lavoratori ci chiedono stavolta di fare sul serio. E in piazza esprimeremo le nostre critiche a una legge di Bilancio con tanti errori, che non rilancia il Paese e penalizza solo una parte della società».
Ma tra pochi mesi si vota. C’è spazio per ottenere modifiche?
«Mi pare che siano stati presentati in Parlamento molti emendamenti da tutte le forze politiche. Dobbiamo far sì che il Parlamento svolga la propria funzione e introduca cambiamenti. Dopo le elezioni, chiunque sarà al governo, noi continueremo».
Ora c’è una rottura sindacale. Che farete?
«Prendiamo atto, con rammarico, di una diversa valutazione. Ma noi facciamo un ragionamento sindacale. Abbiamo presentato una piattaforma unitaria, e un sindacato normalmente confronta quel che ha chiesto con quel che è riuscito ad ottenere. In questo caso la distanza è troppo grande: e abbiamo fatto bene a dire al governo che la risposta è insufficiente, e la vertenza continua».
Sta nascendo una lista a sinistra del Pd, che aspira a un rapporto con la Cgil e vi fa da sponda sulle pensioni. Siamo di nuovo alla “cinghia di trasmissione”?
«Insisto: la nostra è una valutazione puramente sindacale. La piattaforma era unitaria, e risale a un anno e mezzo fa. Col governo abbiamo negoziato una “fase uno”, che ha dato qualche risultato, e una “fase due” in cui però abbiamo ottenuto solo briciole. Sono molto contento che 7, 8 o 9 mila persone (perché di più non sono) possano andare in pensione se vogliono; ma tutti gli altri si trovano di fronte a un peggioramento della loro situazione. E non c’è nulla per i giovani, per le donne e per chi fa lavoro di cura».