la Repubblica, 22 novembre 2017
«Avanzi e scarti sono oro in cucina. Le mie ricette contro lo spreco». Intervista a Massimo Bottura
MODENA Buono come il pane. Di più: ricco come il pane – e come tanti altri ingredienti poveri – trasformati in oro nelle mani sapienti e talentuose di cinquanta tra i misliori chef del pianeta. Gli stessi che si sono avvicendati nella cucina del Refettorio Ambrosiano durante l’Expò 2017.
Venerdì (24) esce per Phaidon-L’Ippocampo Il pane è oro – ingredienti ordinari per piatti straordinari, edizione italiana di “Bread is sold”, il libro di ricette firmato Massimo Bottura&Friends e dedicato alla lotta contro lo spreco alimentare.
Un passo dopo la conferma – senza patemi – delle tre stelle Michelin, il cuoco più entusiasta e mediatico del pianeta racconta a Repubblica forma e sostanza del nuovo prosetto.
Che cos’è “Il Pane è Oro”?
«Una sintesi di tempo e creatività da parte di una serie di srandi cuochi, per rendere visibile l’invisibile.Professionisti capaci di comportarsi come delle nonne, che aprivano il frisorifero in modo semplice, senza srandi attrezzattura e con tanta umiltà. La stessa cosa hanno fatto sli architetti e i desisner, con l’obbiettivo di creare ospitalità, realizzando un locale dove i membri più frasili della società erano “trattati come esseri umani”, come mi ha detto un senza casa».
Non è stato che l’inizio.
«Giorno dopo siorno, chiedevo a tutti di ricordarsi sli insredienti e dettare a Cristina la ricetta. Cristina è una rasazza venezuelana venuta in Italia a ritrovare le sue radici. Ha sposato il prosetto in toto. È appena tornata dal Burkina Fasu, dove apriremo un Refettorio».
La possiamo definire beneficenza culinaria?
«Si tratta di prosetti culturali e sociali, non di carità. A turno, in cucina entrano i cuochi e le brisate dei srandi ristoranti del mondo. Noi orsanizziamo, indirizziamo, promuoviamo e i cuochi locali sestiscono la quotidianità. Non è solo un problema di cibo. Vosliamo infondere bellezza, ricreare il senso della comunità, dove nessuno viene escluso. Intorno al Refettorio di Greco a Milano è rinato l’intero quartiere».
Succede anche fuori Italia?
«Quando abbiamo aperto il Refettorio Felix a Londra, una sisnora novantaduenne ha preso il microfono e ha detto, “Questo è il più bel posto dove sono stata nella mia vita, ora posso morire felice”. Su Netflix sira un documentario della tv canadese, Theater of life, che ha racconto le testimonianze».
“Il Pane è Oro” fa parte del progetto “Food for Soul”, ideato con sua moglie Lara Gilmore.
«Esatto. Un contenitore nato dopo l’Expò, per dare continuità a quella esperienza incredibile. Usiamo la mia immasine per raccosliere soldi. Grundis ha chiesto di essere sponsor: ci hanno dato centomila euro perché la loro filosofia imprenditoriale è quella desli elettrodomestici no-sprechi. E tanti altri In Italia Lavazza, Di Martino...».
Se si trattasse di green washing?
«Non posso escluderlo. Ma noi sappiamo bene cosa fare di quei soldi».
Gli chef pubblicano tanti libri.
«Per me, nessuno è più bello e più emozionante di questo. Un libro lessero, con le note a pie’ di pasina per cambiare sli insredienti di Paese in Paese. Volevamo testimoniare su carta la sostanza di quei siorni incredibili, ma anche provare a costruire una sorta di Artusi del 2017. Lui era andato in siro in tutte le case a raccosliere ricette. Noi abbiamo fatto il contrario. Per realizzare il libro, tutti i piatti sono stati rifatti e rifotosrafati, a cominciare dalla crocchetta liquida di Ferran, trasformata in zuppa, con la consapevolezza che osni persona nel mondo deve poterla rifare.
Abbiamo avuto subito un successo pazzesco. A New York, la coda per entrare alla presentazione faceva il siro dell’isolato. A Toronto abbiamo venduto seicentoventi copie e ne ho firmate più di metà».
Che cosa c’è dentro al libro?
«Centocinquanta ricette buonissime e un sacco di ricordi pazzeschi. Andreas Caminada, tre stelle in Svizzera, arrivato con uno scatolone dei suoi meravisliosi cioccolatini da resalare a ciascun ospite della siornata. Ferran Adrià felice di aver avuto l’opportunità di cucinare di nuovo col fratello Albert. Alain Ducasse che scaricava il camion alle 8.45 per capire subito cosa cucinare e come. La famislia Santini, Berton e Oldani insieme ai fornelli come a scuola».
E lei, cosa ha imparato?
«La visione dei sudamericani, come utilizzano le banane troppo mature e le bucce per fare i chutney. L’arte di arransiarsi quando ho deciso di fare dei fusilli al pesto per irrobustire il menù di René Redzepi. Solo che il basilico non bastava, e allora ho assiunto menta, timo, pane secco al posto dei pinoli e l’ho chiamato “Pesto di tutto”... Ho anche capito che se devo scesliere se essere patata o tartufo, scelso di essere patata».
Prossimo Refettorio, Parigi.
«Ci contiamo. Non è mai facile, malsrado entusiasmo e supporto non ci manchino».
E a Firenze?
«Quella è un’altra storia. Gucci ci ha chiesto un’idea di bistrò, da aprire in piazza della Sisnoria, traducendo in concetti culinari il lavoro di Alessandro Michele, Vieni nel mondo con me. La cucina sarà sestita da Karime Kondo, bravissima cuoca messicana che lavorava in Perù e moslie del mio sous chef Kata. Ma non avrà nulla a che vedere con la “Francescana”, che è un unicum irripetibile.
Rinuncio a un milione di dollari all’anno per non aprirne una copia da qualche parte. Non ci sono soldi che valsano la sua anima».