la Repubblica, 22 novembre 2017
Di Battista addio, ma c’è un «piano B». Raggi condannata? Il sindaco lo fa lui
Roma Dalla Sierra al Campidoglio, ecco il futuro che ha in mente il Movimento per Alessandro Di Battista. Candidato sindaco di Roma, così progettano riservatamente ai massimi livelli, se Virginia Raggi dovesse subire una condanna in primo grado che, codice etico alla mano, imporrebbe le dimissioni. Chi meglio di lui per riprendersi la Capitale, dopo l’acclamazione social da rock star per il ritiro dalle scene? «Continuerò a fare politica, ma fuori da questo Palazzo – promette per adesso lui, ultra cauto – È una scelta maturata già nel 2014. Cinque anni in quest’istituzione mi sono sempre sembrati più che sufficienti».
Un passo alla volta, naturalmente. Nessuno cala ancora ufficialmente il “jolly Dibba”. Non Luigi Di Maio, che l’ha corteggiato a lungo per arruolarlo come ministro di punta di un suo governo a cinquestelle: «Alessandro non ci sarà confida il candidato premier – È stato lui stesso a dire che partirà». Un viaggio intorno al mondo, ecco l’agenda del deputato più amato dai talk. Un tuffo nella paternità. E abbuffate di folla per presentare il libro ormai prossimo alle stampe. La politica, però, resta sempre lì. «Certo che mi fanno piacere gli attestati di stima della nostra gente in queste ore – ammette – anche perché il Movimento è la mia seconda pelle. Io ci sarò sempre». Solo l’esperienza a Montecitorio, insomma, può considerarsi davvero conclusa.
E si torna al Campidoglio. A quell’udienza preliminare di gennaio. All’eventuale condanna della Raggi. E alle regole stringenti del grillismo: «Il Sindaco, ciascun Assessore e ciascun consigliere – recita il codice di condotta – assume l’impegno etico di dimettersi se, durante il mandato, sarà condannato in sede penale, anche solo in primo grado». Uno scenario catastrofico, per la galassia cinquestelle. Lo sanno bene ai vertici del Movimento. Tutti con la Raggi, finché la sindaca resterà in sella. Ma l’“ipotesi Di Battista” cresce di ora in ora. Non solo dalle parti del quartier generale milanese, ma anche tra ras grillini romani del calibro di Roberta Lombardi e Marcello De Vito. Una scialuppa a cui aggrapparsi se si dovesse scatenare la tempesta.
Sia chiaro, il passo di lato moltiplica le opportunità a disposizione di Di Battista. Condurre una programma “barricadero” in televisione – non gli sono mancate in questi mesi le proposte – resta ad esempio un suo vecchio pallino. E anche un pit-stop per un tour familiare intorno al mondo è un desiderio reale dell’emulo del Che. «Voglio essere libero di combattere le mie battaglie – ripete – fuori da questo Palazzo». Il resto è tattica, una ritirata strategica perfetta di fronte al probabile stallo post elettorale. Fuori dall’arena l’immagine si conserva meglio, si logora solo chi combatte in prima linea. «Non mi sento orfano di Ale – giura intanto il candidato premier Luigi Di Maio – anche perché faremo campagna elettorale insieme, vedrete...».
Lui, come gli altri, sa che arriverà il tempo della “carta Dibba”. Perché va bene la Sierra, ma per il Campidoglio non bisogna neanche prendere l’aereo.