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 2017  novembre 22 Mercoledì calendario

La guerra di Putin nel cyber-spazio

«Chi saprà sviluppare la miglior intelligenza artificiale sarà il padrone del mondo». Detta da Vladimir Putin suona come una profezia e una minaccia al tempo stesso. Perché è proprio all’intelligenza artificiale e ai suoi derivati, come la “dezinformatsiya” eletta a sistema grazie a sempre più sofisticati algoritmi, che Putin affida un ruolo decisivo in quella guerra silenziosa ma non meno cruenta di quella convenzionale che si combatte nel soffice mondo del cyber-spazio.
Un esempio? Jenna Abrams, regina dei social network, “influencer” di prima classe, in grado di attrarre la curiosità di migliaia di persone con le sue idee estreme sulla segregazione razziale, il ritorno del Ku Klux Klan, l’allarme sulla minaccia islamica nel cuore del Midwest e di twittare, chattare e dialogare (e perdonatemi per quest’orgia di inevitabili tecnoneologismi) con figure di pri- mo piano dell’industria, della finanza ed anche della politica americana, tra cui l’ex consigliere per la sicurezza nazionale di Donald Trump Michael Flynn o l’ex ambasciatore a Mosca Michael McFaul.
Piccolo particolare: la biondissima Jenna (una ragazza sui trent’anni, occhiali, il cipiglio battagliero dipinto su quel viso acqua e sapone) non è mai esistita: è soltanto una delle tante dell’ineffabile Ira, l’Internet Research Agency di San Pietroburgo (nickname locale: “I trolls di Olgino”), meglio nota come la fabbrica dei falsi che Mosca dissemina nel Web per creare confusione e discordia e soffiare sul fuoco dei conflitti. L’officina dei “golem” pietroburghesi ha colpito un po’ dovunque: negli States (con il cosiddetto Russiagate) come in Europa. Operazioni in larga misura riuscite grazie anche al tandem fra Russia Today (emittente satellitare in lingua inglese dall’impeccabile stile Bbc, 300 milioni di dollari di budget annuale, 550 milioni di utenti in tutto il mondo, considerata il vero e proprio megafono del Cremlino) e l’agenzia Sputnik News( fondata nel 2014 come emanazione di Rossiya Segodnya, l’agenzia governativa già proprietaria di Ria Novosti e di Voice of Russia e subito definita dal Foreign Office britannico «la più perfetta macchina di disinformazione mai allestita dalla Russia»). Centinaia di tecnici, di hacker, di pubblicisti lavorano per l’Ira. Il loro compito è quello di bombardare con massicce raffiche di commenti i social network secondo le strategie geopolitiche del Cremlino, avvalendosi di una miriade di identità fittizie disseminate su Facebook, Instagram, Twitter, Google, Youtube. Come quella di Jenna, dietro alla quale c’era un team di persone nascoste dietro ai monitor di San Pietroburgo, che rispondevano a cantanti, ambasciatori, politici. Per meglio influenzare l’opinione pubblica molti di loro sono stati invitati a studiare attentamente il serial House of Cards e ad adottare il linguaggio del governo americano per risultare più credibili. Il risultato, stando alle cifre, è impressionante: secondo Mark Zuckerberg, i “post” di Mosca su Facebook hanno raggiunto almeno 126 milioni di utenti americani. Il management di Twitter ha ammesso che durante la campagna elettorale più di 35mila account legati ai russi hanno diffuso 1 milione e quattrocentomila tweet che hanno ricevuto 288 milioni di reazioni. È stata efficace l’azione di propaganda e disinformazione?
«Lo scopo – spiegano concordemente gli analisti – non è favorire questo o quel candidato, ma solo seminare discordia». Una delle tattiche predilette da Mosca fin dai tempi della Ceka. Valida, come si vede, ancora oggi.